Prendere con la massima serietà vuol dire non limitarsi a diramare specifiche circolari tra i lavoratori impiegati ma dimostrare anche di aver inflitto agli inadempienti qualche sanzione disciplinare.
Con la sentenza numero 4211/2016, depositata il 4 marzo, la sezione lavoro della Corte di cassazione ha infatti precisato che l'impugnata sentenza di merito con la quale un datore di lavoro, pur avendo allegato non meglio individuate circolari e disposizioni organizzative, è stato condannato a risarcire al proprio dipendente il danno biologico e morale da fumo passivo non può dirsi emessa in violazione dell'articolo 2087 del codice civile, anche in relazione all'articolo 1223.
Le indicate allegazioni datoriali, infatti, non sono da ritenersi sufficienti dinanzi a una riconosciuta responsabilità contrattuale del datore di lavoro per esposizione a fumo passivo, peraltro in assenza di alcuna prova circa l'effettiva inflizione di sanzioni disciplinari in merito, soltanto ipotizzate.
Del resto, l'articolo 1218 c.c. sancisce chiaramente che il debitore che non esegue la prestazione dovuta in maniera esatta deve risarcire il danno, a meno che non provi che l'inadempimento o il ritardo siano derivati da impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile.
Il risarcimento di oltre 31mila euro al lavoratore esposto a fumo passivo, insomma, va confermato. E il datore di lavoro non può più farci nulla.
Cassazione, sentenza n. 4211/2016• Foto: 123rf.com