di Marina Crisafi - Tenere gli animali legati con catene è reato a prescindere dalle condizioni di cattività. Così, la Cassazione ha confermato la condanna inflitta al circo Togni per aver detenuto in condizioni incompatibili con la loro natura e caratteristiche etologiche due elefanti tenuti in via continuativa a catene corte. A renderlo noto è un comunicato stampa della Lega Antivivisezione (Lav) che aveva denunciato il circo nel 2012, opponendosi poi all'archiviazione del caso.
La S.C. ora ha ritenuto corretta la sentenza del tribunale di Milano che nel dicembre 2014 aveva condannato Livio Togni, titolare dell'omonimo circo, ad un'ammenda di 1.800 euro per il reato di cui all'art. 727, 2° comma, del codice penale.
Si tratta di una "pronuncia importantissima - ha commentato la Lav - che conferma ancora una volta come detenere un animale a catena sia incompatibile con la sua natura, a prescindere dalla condizione di cattività e conferma anche, laddove ce ne fosse bisogno, che la vita degli animali dei circhi è sofferenza".
I circhi d'Italia, prosegue la Lega, "utilizzano decine di elefanti, praticamente tutti prelevati in natura", "appartenenti a specie a rischio di estinzione - che tuttavia - grazie ad una legge del 1968 sono sfruttati per intrattenimenti anacronistici a fini ludici, spesso con un supporto di un finanziamento pubblico al mondo dei circhi che può arrivare a 3 milioni di euro all'anno".
Perciò - chiosa l'associazione - "il Governo e il Parlamento italiano devono prendere atto delle evidenze scientifiche e dell'accresciuta sensibilità degli italiani, il 71,4% dei quali, secondo il Rapporto Eurispes del 2016, è contrario ai circhi con animali" e dare immediata "esecuzione ai dettami del Parlamento che, già nel 2013, richiedeva la revoca del finanziamento pubblico ai circhi con animali (a partire dal 2018) a favore del circo contemporaneo senza animali".
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