Nota di commento alla sentenza del Tribunale di Milano n. 1624/2016

Abogado Francesca Servadei - La X Sezione del Tribunale di Milano è stata investita di una questione alquanto spinosa relativamente alla diffamazione aggravata dall'attribuzione di un fatto determinato e dall'uso di un mezzo di pubblicità risalente al maggio del 2012.

La questione verteva sostanzialmente sulla contestazione avanzata al socio di un club, imputato nel processo, per aver inoltrato, contemporaneamente e ad una pluralità di soci - quindi attraverso lo strumento del forward - una lettera con la quale accusava il presidente del relativo ente della mala gestio dello stesso nonché l'aver sperperato il relativo patrimonio.

Due sono gli aspetti emersi dalla pronuncia:

1) se la posta elettronica può equipararsi ad un mezzo di pubblicità al fine di integrare la fattispecie della diffamazione, ex art. 595 III comma, quindi diffamazione aggravata ove si legge " Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero di atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro";

2) se la competenza spetta al giudice togato ovvero al giudice di Pace.

Per quanto concerne il punto 1, occorre premettere che la giurisprudenza di legittimità ha affrontato la fattispecie della diffamazione tramite internet effettuando una importante distinzione: a) mezzi di comunicazione, quali blog, forum, ovvero social network, quindi per loro natura diretti ad un numero indeterminato di destinatari; b) mezzi di comunicazione, quali chat private o posta e-mail.

Il Palazzaccio, V Sezione, con sentenza 4741/2000 ha statuito che l'impiego della rete telematica integra l'ipotesi di diffamazione

aggravata ex art. 595, terzo comma del codice penale; in particolare nella sentenza citata è stato affermato che "nel caso, di diffamazione commesso, ad esempio, a mezzo posta, telegramma o, appunto e-mail, è necessario che l'agente compili e spedisca una serie di messaggi a più destinatari mentre nel caso in cui egli crei o utilizzi uno spazio web, la comunicazione deve intendersi effettuata potenzialmente erga omnes (sia pure nel ristretto-ma non troppo- ambito di tutti coloro che abbiano strumenti, le capacità tecnica e, nel caso di siti a pagamento, la legittimazione, a connettersi".

L'orientamento di tale sentenza è poi stato seguito negli anni successivi, tanto che sempre la V Sezione, con pronuncia 44980/2012 ha affermato che integra l'ipotesi di cui all'articolo 595, terzo comma, c.p. il messaggio diretto ad una platea talmente ampia di fruitori che l'offesa supera di gran lunga quella tra offensore ed offeso, facendo quindi escludere l' applicabilità del reato di ingiuria (oggi depenalizzato).

La X Sezione del Tribunale di Milano, con la sentenza 1624/2016 in commento, rievoca non solo la citata sentenza, ma anche la pronuncia n. 29221/2011 con la quale la S.C. ha statuito che "quanto all'aggravante di cui all'art. 595 c.p. comma 3, i giudici di merito hanno rilevato che la sua sussistenza in quanto i fatti e le valutazioni negative sono state diffuse mediante il particolare e formidabile mezzo di pubblicità, quale la posta elettronica, con lo strumento del forword a pluralità di destinatari".

Passaggio fondamentale adottato dal tribunale lombardo al fine di individuare o meno la fattispecie di cui al III comma dell'articolo 595 c.p. è stato quello di definire il significato di "casella di posta elettronica", affermando che trattasi di uno spazio riservato, messo a disposizione del fornitore di servizi internet, in cui vengono trasferiti, per via e-mail sul computer dell'utente i messaggi a lui diretti (omissis). Il messaggio inviato attraverso la posta elettronica sia diretto a singoli, specifici destinatari (per quanto il loro numero possa essere elevato) e non "in incertam personam" come avviene invece nel caso di un sito o di una pagina web.

Proprio con il significato di posta elettronica quindi si supera l'aggravante di cui al terzo comma di cui l'imputato era stato chiamato a rispondere escludendone pertanto l'applicabilità.

Inoltre, per quanto concerne il punto 2) il citato tribunale afferma la propria incompetenza per materia, accogliendo pertanto l'eccezione sollevata dal difensore dell'imputato per la quale la Pubblica Accusa ne aveva chiesto l'accoglimento, ordinando la trasmissione degli atti in favore del Giudice di Pace di Milano, trattandosi di una materia richiamata dall'articolo 4 del D. Lgs 28 agosto 2000 n. 274, ove sede naturale del delitto di cui all'art. 595 I e II comma, che sia consumato ovvero tentato, è proprio quella del giudice di pace.

ABOGADO FRANCESCA SERVADEI-

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