di Lucia Izzo - Torna nelle mani della Corte d'Assise d'Appello di Roma il destino del caso di Stefano Cucchi, il trentenne romano deceduto il 22 ottobre 2009 durante la custodia cautelare.
Il nuovo processo d'appello dovrà verificare se sussistono condotte omissive a carico dei 5 medici che hanno avuto in cura il giovane, in modo da stabilire se, "ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta (ma omessa), l'evento lesivo 'al di là di ogni ragionevole dubbio' sarebbe stato evitato o si sarebbe verificato, ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva".
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 9831/2016 (qui sotto allegata) pubblicata il 9 marzo.
Gli Ermellini sottolineano l'insufficienza del percorso motivazionale seguito dalla corte territoriale, in termini di carenza di adeguata motivazione su di un punto decisivo ai fini dell'indagine sulla responsabilità degli imputati, ossia l'individuazione della causa naturale della morte di Stefano Cucchi.
L'esatta individuazione della "causa materiale" della morte del giovane, cioè della patologia che ne ha determinato il decesso, rappresenta il necessario antecedente su cui innestare l'indagine sull'esistenza del nesso di causalità giuridica.
La Cassazione rammenta, infatti, come il caso in esame graviti nell'area della particolare fattispecie di "reato omissivo improprio" o "commissivo mediante omissione", che è realizzato da chi, nello svolgimento dell'attività professionale medico-chirurgica, viola gli speciali doveri collegati alla posizione di garanzia, non impedendo il verificarsi dell'evento lesivo: in tale situazione assume valore centrale, all'interno del processo penale, "passaggio cruciale ed obbligato della conoscenza giudiziale del fatto di reato", l'accertamento del rapporto di causalità tra omissione ed evento.
Un simile nesso eziologico, affermano i giudici, sulla base dell'orientamento da tempo costante nella giurisprudenza di legittimità (tanto da potersi ormai definire in termini di "diritto vivente"), non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto
Quindi, ai fini del giudizio contro fattuale, le informazioni scientifiche andranno lette in coordinato con le contingenze significative del caso concreto.
Trova così accoglimento il ricorso del pubblico ministero, il quale aveva sottolineato come la stessa decisione d'appello ritenesse mancanti certezze proprio circa il nesso di causalità tra le condotte degli imputati e l'evento: tuttavia, il giudice di secondo grado non avrebbe considerato che l'asserita mancanza di certezze deriva proprio dal comportamento gravemente negligente dei sanitari, che hanno omesso i necessari esami e valutazioni, i normali controlli e le dovute annotazioni per il corretto accertamento delle patologie.
Il giudice si sarebbe spogliato del suo ruolo critico, abdicando a favore dei "custodi del sapere scientifico" senza prendere posizione alcuna e giustificando l'assenza di colpa degli imputati stante la mancanza di linee-guida sul trattamento della sindrome, nonché, tra l'altro, per la complessità e l'oscurità del quadro patologico raccolto.
In realtà, chiarisce la Cassazione, il medico è autonomo nelle scelte terapeutiche, quindi sempre tenuto a prescegliere la migliore soluzione curativa, considerando le circostanze peculiari che caratterizzano il caso concreto e la specifica situazione del paziente, nel rispetto della volontà di quest'ultimo, al di là delle regole cristallizzate nei protocolli medici.
Pertanto l'assenza "di precise linee-guida" non impedisce l'indagine giudiziale sul nesso causale, perché in mancanza di linee-guida, occorrerà fare comunque riferimento alle virtuose pratiche mediche o, in mancanza, alle corroborate informazioni scientifiche di base, con la conseguenza che quanto maggiore sarà il distacco dal modello di comportamento, tanto maggiore sarà la colpa del sanitario.
Cassazione, sentenza n. 9831/2016• Foto: 123rf.com