di Valeria Zeppilli - Se il convivente si è sottratto a tutte le spese relative alla casa familiare (come ad esempio quelle per la collaboratrice domestica, per l'acquisto degli elettrodomestici o per il vitto), difficilmente potrà pensare di ottenere la ripetizione delle somme che abbia versato per il pagamento del canone di locazione.
La sentenza numero 11850/2015 del Tribunale di Milano, anzi, ha proprio escluso un suo diritto in tal senso.
Nel caso di specie il giudice lombardo ha rigettato il ricorso presentato da un uomo nei confronti della ex convivente, teso a chiedere indietro tali somme facendo leva su un presunto illegittimo arricchimento della donna a suo discapito.
Per il Tribunale, infatti, l'ingiustizia dell'arricchimento può configurarsi, nelle unioni di fatto, solo nel caso in cui un convivente abbia offerto prestazioni a vantaggio dell'altro che non solo travalichino il limite della proporzionalità e quello dell'adeguatezza ma anche che esulino dall'adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza. Queste ultime, del resto, vanno parametrate sulle condizioni economiche e sociali di coloro che facciano parte della famiglia di fatto.
Nel caso di specie, entrambi i conviventi avevano contribuito alla conduzione della famiglia in misura adeguata e proporzionale. Il contributo dato da ognuno di essi, quindi, non era altro che l'espressione della solidarietà che tra gli stessi sussisteva e rappresentava un naturale adempimento dei reciproci doveri sociali e morali.
Di conseguenza, nessun diritto alle ripetizione delle attribuzioni patrimoniali in favore del convivente more uxorio spetta all'altro compagno se le stesse sono state effettuate quando il rapporto era in corso: trattasi, infatti, di adempimento di un'obbligazione naturale ai sensi dell'articolo 2034 del codice civile.
Il ricorrente, insomma, non può far altro che rinunciare alle sue pretese: i soldi pagati per far fronte al contratto di locazione non devono essergli restituiti.