di Lucia Izzo - Non decade dal beneficio delle agevolazioni fiscali sulla prima casa il coniuge che, in sede di separazione consensuale, trasferisce alla ex la sua quota di casa familiare, anche se poi non acquista un altro immobile.
Lo ha disposto la Corte di Cassazione, sezione V civile, sentenza n. 5156/2016 (qui sotto allegata), accogliendo il ricorso di un contribuente teso alla cassazione di un provvedimento della CTR Piemonte.
La Commissione aveva rigettato l'appello del contribuente e confermato l'avviso di liquidazione con il quale, riguardo all'imposizione sul valore aggiunto, l'Agenzia delle entrate aveva dichiarato la decadenza del contribuente dalle agevolazioni per l'acquisto della "prima casa".
Il giudice d'appello aveva ritenuto che l'attribuzione alla moglie della proprietà della casa coniugale in adempimento di una condizione pattuita in sede di separazione consensuale, costituisce alienazione dell'immobile rilevante ai fini della decadenza dei benefici "prima casa", non rientrando tra le esenzioni previste dall'art. 19 della legge n.74 del 1987
La difesa del contribuente, invece, evidenzia che la cessione in questione rappresenta solo una forma di utilizzazione dell'immobile stesso ai fini della migliore sistemazione dei rapporti fra i coniugi sia pure al venir meno della loro convivenza.
Sul tema, spiegano gli Ermellini, si rinvengono due orientamenti di legittimità: il primo, sfavorevole alla tesi del contribuente, afferma che il trasferimento di un immobile in favore del coniuge per effetto degli accordi intervenuti in sede di separazione consensuale è comunque riconducibile alla volontà del cedente, e non al provvedimento giudiziale di omologazione.
Sicché, qualora, intervenga nei cinque anni successivi all'acquisto, senza che il cedente stesso abbia comprato, entro l'anno ulteriore, altro appartamento da adibire a propria abitazione principale, le agevolazioni fiscali "prima casa" di cui egli abbia beneficiato per comprare quell'immobile vanno revocate.
La Corte ritiene di adottare, invece, un secondo orientamento, più favorevole al contribuente, secondo cui l'attribuzione al coniuge della proprietà della casa coniugale in adempimento di una condizione inserita nell'atto di separazione consensuale non costituisce una forma di alienazione dell'immobile rilevante ai fini della decadenza dai benefici cosiddetta "prima casa", bensì una modalità di utilizzazione dello stesso per la migliore sistemazione dei rapporti fra i coniugi in vista della cessazione della loro convivenza.
Questo principio s'inserisce in un quadro normativo e giurisprudenziale volto alla sempre più marcata valorizzazione dell'autonomia privata nell'ambito della disciplina dei rapporti familiari: la ratio propria dell'agevolazione fiscale per la prima casa, infatti, è quella di favorire l'acquisizione in proprietà dell'alloggio da destinare ad abitazione propria e quindi del proprio nucleo familiare.
L'ipotesi di una decadenza sarebbe irragionevole: non essendo configurabile alcun intento speculativo e non avendo conseguito alcuna somma da reimpiegare per l'acquisto di una nuova casa, il contribuente non può essere sanzionato con la perdita dei benefici, mentre la fattispecie traslativa nell'ambito di accordi della crisi coniugale resta al di fuori perimetro dell'art. 1, nota I1-bis, Tariffa, Parte 1, n.4, T.U.R..
Quindi, il contribuente che, in sede di separazione, trasferisce al coniuge la casa coniugale prima del decorso del quinquennio dall'acquisto per il quale aveva usufruito delle agevolazioni fiscali di cui all'art. 19, non decade dai relativi benefici atteso che l'immobile, acquistato per essere destinato a casa familiare, tale rimane.
Si aggiunge, inoltre, che tale conclusione è in linea sia con l'interpretazione di legittimità (Cass. n.860 del 2014) volta ad affermare la ricorrenza dei benefici in questione nel quadro degli accordi di negoziazione della crisi familiare, sia rispetto all'impostazione dei principali documenti di prassi del fisco.
Cass., sez. V civile, sentenza n. 5156/2016