di Valeria Zeppilli - In assenza di un'appropriata motivazione a sostegno della custodia cautelare in carcere, è possibile che ottenga i domiciliari anche la madre che è stata condannata in primo grado per aver ucciso la figlioletta appena nata ed averne occultato il cadavere.
Come precisato dalla sentenza numero 11600/2016, depositata il 18 marzo (qui sotto allegata), con l'intervento della legge numero 47/2015 di riforma delle misure cautelari e la conseguente modifica dell'articolo 274 del codice di procedura penale, l'applicazione delle misure cautelari è oggi infatti subordinata non soltanto alla concretezza del pericolo che vengano reiterati, tra gli altri, delitti della stessa specie di quello per cui si procede. È infatti necessario valutare anche l'attualità di tale pericolo, senza che peraltro le situazioni in cui esso sia grave e attuale possano essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per il quale si procede.
Ecco quindi che i giudici hanno accolto il ricorso presentato dalla donna-killer avverso la decisione del Tribunale del riesame di non concederle gli arresti domiciliari, considerando solo le motivazioni alla base della condanna inflittale dal primo giudice.
La Corte, nel decidere in tal senso, ha sottolineato che l'articolo 275 c.p.p, quando attribuisce al giudice ampi poteri nell'applicazione delle misure cautelari personali, impone comunque di valutare se la misura che intende adottare sia in grado di soddisfare le esigenze cautelari specifiche del caso concreto.
A tal fine, deve fornire una motivazione coerente e non apodittica circa le ragioni che sorreggono il giudizio di adeguatezza e proporzionalità.
Nel caso di specie, invece, l'ordinanza si era limitata a riprodurre clausole di esclusiva idoneità e di proporzionalità della misura della custodia cautelare in carcere ed era del tutto astratta dalla specifica analisi della natura e del grado delle esigenze cautelari.
In forza della carenza argomentativa, l'ordinanza impugnata va annullata, seppure con esclusivo riferimento alla necessità di valutare l'adeguatezza della misura cautelare inflitta.
Corte di cassazione testo sentenza numero 11600/2016