di Annalisa Sassaro - In tema di contratto d'opera professionale il codice civile prevede all'art 2237 che "il cliente può recedere dal contratto, rimborsando al prestatore d'opera le spese sostenute e pagando il compenso per l'opera svolta. Il prestatore d'opera può recedere dal contratto per giusta causa. In tal caso egli ha diritto al rimborso delle spese fatte e al compenso per l'opera svolta, da determinarsi con riguardo al risultato utile che ne sia derivato al cliente. Il recesso del prestatore d'opera deve essere esercitato in modo da evitare pregiudizio al cliente." In base alla citata disposizione, la determinazione di un termine di durata ad un contratto d'opera professionale non preclude la facoltà di recesso ad nutum prevista a favore del cliente.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 469 del 14 gennaio 2016 ha affermato infatti che è sempre necessario valutare caso per caso il contenuto della pattuizione negoziale al fine di desumere se le parti contrattuali abbiano voluto o meno vincolarsi in modo tale da escludere la possibilità di scioglimento del contratto ante tempore ripudiando ogni automatismo interpretativo.
La pronuncia della S.C. nasce dal ricorso proposto da un medico-chirurgo milanese, il quale aveva convenuto un proprio paziente in primo grado dinanzi al Tribunale di Milano per la risoluzione del contratto di prestazione d'opera intellettuale per fatto e colpa del convenuto chiedendo il risarcimento dei danni derivanti dall'ingiustificata interruzione del rapporto.
Il Tribunale accoglie le ragioni di parte attorea. Secondo il Tribunale di prima istanza, era stato stipulato inter partes un contratto la cui disciplina era riconducibile a quanto disposto dagli artt. 2229 e ss. del codice civile
, avente ad oggetto (in via esclusiva, per il medico) la prestazione di attività di anamnesi, diagnosi oltre che di informazione e consulenza e assistenza, con la previsione della durata di anni 2. L'apposizione del termine era sinonimo di deroga espressa al recesso ad nutum previsto all'art. 2237 cod. civ.; conseguentemente risultava inadempiente il convenuto che aveva receduto illegittimamente dal contratto.Per converso, la Corte d'Appello riforma la sentenza di primo grado in quanto ritiene che il paziente aveva legittimamente esercitato il recesso dal contratto previsto dal primo comma dell'art. 2237 cod. civ. a favore del committente, non potendo intendersi tale facoltà esclusa per effetto della previsione pattizia di un termine di durata del contratto. La Corte d'appello evidenzia come sia doverosa la verifica ,nel singolo caso, dell'apposizione del termine di durata sia eo ipso sufficiente ad integrare la deroga negoziale alla facoltà del recesso ad nutum, rifiutando qualunque automatismo interpretativo, adottato dal Tribunale di primo appello.
Venendo quindi alla fattispecie oggetto dell'analisi, nel contratto tra il medico chirurgo ed il paziente assume decisiva rilevanza la fiducia posta a base della collaborazione fra medico e paziente; quest'ultimo infatti aveva affidato in via esclusiva al professionista la speranza di cura e di guarigione da una rara malattia.
L'apposizione del termine di durata non era espressione univoca della volontà di derogare al recesso ad nutum, anzi poteva interpretarsi come elemento che rafforzava l'esigenza della componente fiduciaria.
Avverso tale sentenza, il medico-chirurgo ha proposto ricorso per Cassazione.
La S.C. sostiene che ai sensi dell'art. 2237 primo comma cod. civ., il cliente può recedere ad nutum dal contratto di opera professionale, mentre al prestatore d'opera è consentito il recesso soltanto per giusta causa. La facoltà di scioglimento è riconosciuta al cliente (nel caso di specie, paziente) in virtù della natura fiduciaria del rapporto intercorrente tra le due parti contrattuali.
La Suprema Corte sostiene che occorre verificare se, in presenza di una durata convenzionale, il rapporto sia passibile di anticipato scioglimento per effetto del recesso ad nutum da parte del cliente oppure se la previsione di un termine di durata integri la rinuncia alla facoltà di recesso da parte del cliente.
Al riguardo, essa chiarisce che la predeterminazione di un termine di durata del contratto può integrare la rinuncia da parte del cliente al recesso laddove dal regolamento negoziale, complessivamente considerato, si possa in modo inequivoco ricavarsi la volontà delle parti di vincolarsi per la durata del contratto vietandosi reciprocamente il recesso prima della scadenza del termine finale.
Per il caso di specie, l'indagine doveva essere diretta a verificare se le parti,in relazione alle pattuizioni convenute, avessero voluto limitarsi a fissare la durata massima del rapporto o piuttosto avessero voluto escludere il recesso ad nutum del cliente prima della scadenza. Relativamente a ciò, la Corte d'Appello aveva compiuto il predetto accertamento; Essa infatti aveva affermato che la deroga pattizia deve essere verificata alla luce del contenuto del contratto escludendo - in relazione alla particolare natura della prestazione professionale consistita in anamnesi, diagnosi, informazione, consulenza e assistenza volta alla ricerca di cure per malattie rare - che il cliente, con l'apposizione del termine, avesse rinunciato alla facoltà di recesso. In sostanza, nel fare riferimento al più intenso intuitus personae, la Corte d'Appello aveva correttamente considerato la peculiarità della prestazione convenuta e le particolari e delicate esigenze del cliente, confermando la natura fiduciaria del rapporto.
Alla luce di quanto detto, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.