Nel caso di specie i ricorrenti infatti lamentavano, tra le altre cose, l'avvenuta compensazione parziale delle spese nonostante l'accertata irragionevole durata del processo.
Del resto, per i giudici la proposizione di successive domande di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata di uno stesso processo (verificatasi nel caso all'attenzione della Corte) è esercizio di una facoltà specifica concessa dalla legge se consegue al protrarsi della violazione anche nel periodo successivo a quello che accertato con la prima decisione.
Tale condotta, di conseguenza, non può essere reputata come integrante un abuso del processo o un esercizio del diritto in maniera eccedente o deviante rispetto alla tutela dell'interesse sostanziale.
Così, dovendosi escludere che la condotta processuale dei ricorrenti integri un abuso del diritto, allo stesso modo deve escludersi che la stessa integri un giusto motivo per la compensazione, dato che anche i giudizi di equa riparazione sono assoggettati alle regole poste dall'articolo 91 del codice di procedura civile in materia di spese processuali.
A tal proposito i giudici hanno infatti ricordato che è ormai consolidato che al verificarsi di simili ipotesi l'erede può ottenere l'indennizzo iure proprio dovuto al superamento del predetto termine, solo a decorrere dalla sua costituzione in giudizio.
Di conseguenza, se egli agisce sia iure haereditatis che iure proporio è necessario ricostruire analiticamente le diverse frazioni temporali e valutarne separatamente la ragionevole durata senza che possa assumersi l'intera durata del procedimento come riferimento temporale per determinare il danno.
In ogni caso non va comunque esclusa la possibilità che il danno morale che abbia sofferto il dante causa sia cumulato con quello che gli eredi nel frattempo intervenuti nel processo abbiano subito personalmente.
È chiaro quindi che se la parte costituita decede nel corso di un processo che abbia una durata irragionevole, ai fini dell'equa riparazione non assume alcun rilievo la continuità della posizione processuale dell'erede rispetto a quella del suo dante causa.
Del resto il patema subito e risarcito con tale sistema presuppone la conoscenza del processo e l'interesse alla sua rapida conclusione.
Nel caso si specie, dunque, non aveva errato la Corte d'appello di Messina nel detrarre due anni dalla valutazione della durata del processo, imputandoli a durata ragionevole per la posizione dei ricorrenti/eredi iure proprio.
Corte di cassazione testo sentenza numero 5425/2016