di Marina Crisafi - Chi intasa di mail la casella di posta elettronica della ex rischia una condanna per stalking. Ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 612-bis c.p. infatti non è necessario che le condotte moleste avvengano in luoghi aperti al pubblico o via telefono. Ad affermarlo è la quinta sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 12528/2016 pubblicata ieri (qui sotto allegata), accogliendo il ricorso del procuratore generale contro la decisione del tribunale di assoluzione dal reato di stalking nei confronti di un uomo che aveva letteralmente invaso la casella di posta elettronica dell'ex moglie, con decine di mail, oltre che a lasciare dichiarazione amorose e deliranti sul parabrezza della sua auto e a recapitare messaggi tramite parenti e amici.
Il tribunale aveva assolto l'uomo ritenendo che la condotta dello staking dovesse coincidere con quella di molestia ex art. 660 c.p. e che quindi gli atti molesti avrebbero dovuto essere necessariamente commessi in luogo pubblico o aperto al pubblico e tramite telefono.
Per il procuratore generale, invece, tali comportamenti, nella misura in cui siano reiterati e producano uno stato di ansia e stress nella vittima integrano senz'altro lo stalking.
Per gli Ermellini, il pg ha ragione.
Il reato di molestia, affermano infatti dal Palazzaccio, si pone come fattispecie del tutto "distinta, autonoma e concorrente rispetto al reato di atti persecutori di cui all'articolo 612-bis c.p. da cui non viene assorbita per la diversità dei beni giuridici tutelati e per la diversa struttura del reato: il delitto di atti persecutori tutela la libertà individuale ed è reato abituale di danno, per la cui sussistenza è richiesta la produzione di un evento consistente nell'alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, o, in alternativa, di un evento di pericolo, consistente nel fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva".
Non vi è dubbio, quindi, per la S.C., che la condotta del delitto di stalking possa essere rappresentata da molestie, oltre che da minacce, ma ciò non legittima l'interprete a considerare la fattispecie "come una reiterazione di successivi episodi di molestie, come tali singolarmente inquadrabili nella contravvenzione di cui all'art. 660 c.p.". I beni giuridici protetti sono diversi tra loro "in un caso la libertà individuale, nell'altro la quiete privata e l'ordine pubblico; la struttura dei reati è ontologicamente diversa - delitto necessariamente abituale di danno in un caso, reato non necessariamente abituale di pericolo nell'altro - per cui appare evidente come dette fattispecie possano avere un nucleo strutturale comune, costituito dalla condotta molesta che tuttavia, nel delitto di cui all'art. 612 bis, c.p., si deve inserire in una sequenza idonea a produrre uno degli eventi di danno tipizzati dalla norma, eventualmente affiancandosi anche ad altre tipologie di condotte minacciose o lesive, mentre nella contravvenzione di cui all'art. 660 c.p., la rilevanza dell'ordine pubblico quale bene da tutelare rende necessario che le molestie siano commesse in un luogo pubblico o aperto al pubblico, oltre che con il mezzo del telefono".
In sostanza, quindi, "la tutela apprestata dall'art. 612-bis, c.p., alla libertà individuale prescinde e non si estende ad alcuna dimensione pubblicistica, per cui dalla sfera di operatività di detto reato esula del tutto la tutela dell'ordine pubblico, con la conseguente irrilevanza dell'essere le condotte moleste, nel caso di cui all'art. 612-bis, c.p., commesse o meno in un luogo pubblico o aperto al pubblico".
Da qui l'accoglimento del ricorso. La parola ora passa al giudice del rinvio per un nuovo esame.
Cassazione, sentenza n. 12528/2016
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