di Valeria Zeppilli - Si è molto sentito parlare negli ultimi tempi dei cd. "furbetti del cartellino", intendendosi con tale espressione quei lavoratori che non si limitano a timbrare il loro badge, ma provvedono a farlo anche per alcuni colleghi.
Purtroppo, però, si tratta di una prassi che non è affatto nuova e sulla quale anzi si è spesso andati in conflitto nelle aule di giustizia.
Proprio recentemente, ad esempio, la Corte di cassazione è tornata a ribadire che il comportamento di un lavoratore che timbri il cartellino del collega assente, commettendo così una frode ai danni del datore di lavoro, integra un'ipotesi di giusta causa di licenziamento. Anche se il contratto collettivo non indica espressamente la sanzione espulsiva per quel preciso atteggiamento.
Il riferimento, in particolare, va alla sentenza numero 5777/2015, depositata dalla sezione lavoro lo scorso 23 marzo (qui sotto allegata).
I giudici hanno infatti precisato che la nozione di giusta causa è una nozione legale e, pertanto, il giudice non è vincolato alle previsioni di condotte che la integrano contenute nei contratti collettivi (pur se egli può comunque utilizzarle come parametro di riferimento).
Nel caso di specie, oltre a tentare di ottenere una diversa risposta dal giudice di legittimità con riferimento a tale aspetto, il lavoratore licenziato aveva anche tentato di fare leva sul suo successivo ravvedimento e sull'assenza di precedenti disciplinari, ma non c'è stato nulla da fare: l'elusione dei sistemi di controllo datoriale non consente di ritenere adeguata una sanzione di tipo conservativo.
Il licenziamento va quindi confermato.
Corte di cassazione testo sentenza numero 5777/2015