di Valeria Zeppilli - Nel nostro ordinamento, il legislatore ha una particolare cura nel garantire al non abbiente l'effettività del diritto di difesa.
Lo strumento messo a disposizione a tal fine, in particolare, è il patrocinio a spese dello Stato.
Orbene: a tal proposito la Corte di cassazione, con la sentenza numero 5806/2016 depositata il 23 marzo (qui sotto allegata), ha precisato che in linea con tale interesse generale non può ritenersi che sia stata implicitamente abrogata dall'articolo 2, comma 2, del d.l. 4 luglio 2006 n. 223 la disposizione di cui all'articolo 130 del d.p.r. 30 maggio 2002 numero 115, che stabilisce la riduzione a metà degli importi che spettano al difensore in caso di patrocinio a spese dello Stato nel processo civile. Il decreto legge, semmai, ne ha integrato il riferimento alla tariffa professionale quale base di liquidazione del compenso.
A tal proposito, nel caso di specie l'avvocato, non contento del compenso liquidatogli, aveva anche sollevato una questione di legittimità costituzionale del predetto articolo 130, in combinato disposto con l'articolo 82 del medesimo d.p.r. Ma la Cassazione ha precisato che la previsione dell'abbattimento alla metà della somma che risulta dalle tariffe professionali non impone agli avvocati un sacrificio tale da far considerare risolto il legame tra l'onorario loro spettante e il valore di mercato.
Si tratta, piuttosto, di una modalità differente con la quale determinare il compenso, che trova la sua giustificazione nell'interesse generale perseguito dal legislatore e nell'obiettivo di garantire al non abbiente il diritto di difesa.
In tal senso le pretese del legale vanno quindi disattese.
Corte di cassazione testo sentenza numero 5806/2016