di Lucia Izzo - Il convivente more uxorio della vittima di omicidio è legittimato a proporre opposizione contro la richiesta di archiviazione ex art. 410 c.p.p. e anche a ricorrere in Cassazione impugnando il relativo provvedimento.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, prima sezione penale, con la sentenza n. 12742/2016 che si inserisce nel solco tracciato dalla nuova disciplina a tutela delle vittime di reato (per approfondimenti: Da domani, la tutela speciale per le vittime di reato è realtà. In allegato il Decreto Legislativo 212/2015).
il decreto legislativo numero 212/2015 ha ritenuto che le facoltà e i diritti previsti dalla legge per il coniuge a seguito del decesso di una persona offesa in conseguenza di reato, possano essere fatti valere anche dal convivente o dal soggetto con il quale la vittima era legata da una relazione affettiva stabile.
Con lungimiranza, la Suprema Corte ha accolto il ricorso promosso dalla convivente di un uomo deceduto per omicidio, teso a riaprire il procedimento archiviato dal Pubblico Ministero che, all'esito delle indagini espletate aveva ritenuto non sussistenti elementi concreti per sostenere l'accusa, pur essendovi dissapori tra la vitta del delitto e i possibili autori.
Poiché l'opposizione alla richiesta di archiviazione era stata dichiarata inammissibile dal G.I.P, la donna ricorre in Cassazione e le conclusioni del Procuratore Generale non sono a lei favorevoli: alla luce della requisitoria scritta del P.G., il mero rapporto di convivenza more uxorio non titolerebbe la ricorrente all'opposizione ex art 410 cod. proc. pen. avverso la richiesta di archiviazione e, dunque, non ammetterebbe il relativo ricorso per cassazione contro il decreto assunto de plano dal Giudice per le indagini preliminari.
Tale soluzione deriverebbe dal combinato disposto degli artt. 90 comma 3 cod. proc. pen. e 307 comma quarto cod. pen.: in caso di decesso della persona offesa, conclude il Procuratore, i diritti e le
facoltà spetterebbero ai prossimi congiunti di essa, tra i quali l'art. 307 cod. proc. pen. non include il convivente more uxorio.
Nonostante nella categoria dei "prossimi congiunti" (art. 307, comma 4 cod. pen.) si sia tradizionalmente fatto riferimento alla famiglia legittima, escludendo la possibile rilevanza della convivenza more uxorio e la stessa Corte costituzionale (sentenze n. 352 del 1989, n. 8 del 1996 e n. 121 del 2004) abbia ritenuto giustificata la mancata equiparazione del coniuge al convivente, si è, tuttavia, avviato un processo interpretativo proteso al riconoscimento di rilevanza giuridica anche alla c.d. famiglia di fatto.
Numerosi interventi legislativi hanno preso atto del fenomeno percependo come il concetto di famiglia fosse caratterizzato da nuove dinamiche che l'ordinamento non avrebbe potuto superficialmente ignorare: si è, in definitiva, considerato come il concetto di famiglia tradizionalmente costruito sul vincolo di coniugio fondato sul matrimonio si fosse progressivamente aperto a mutamenti culturali tali da includere qualsiasi consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni affettivo-sentimentali e consuetudini di vita, apprezzabili nel tempo, fossero sorti rapporti di assistenza e di solidarietà.
Ai rapporti di fatto si ritiene, inoltre, che anche la CEDU assicuri tutela piena, come confermato da diverse sentenze della Corte EDU, ove si è annotato che la nozione di famiglia accolta dall'art. 8 della Convenzione non si basa necessariamente sul vincolo del matrimonio, ma anche su ulteriori legami di fatto particolarmente stretti e fondati su una stabile convivenza.
Alla luce di quanto premesso, chiariscono gli Ermellini, un'interpretazione che ritenesse precluso al convivente l'esercizio dei diritti della persona offesa, deceduta per effetto del reato, non sarebbe sorretta da una valida giustificazione razionale.
Il legislatore pone a fondamento dell'inclusione tra i prossimi congiunti del coniuge stesso, lo stretto legame relazionale e d'affectio che scaturisce dal rapporto matrimoniale e che attraverso esso si formalizza giuridicamente.
In questa prospettiva, dunque, non vi sarebbe motivo razionale per fondare l'esclusione dalla categoria in esame, ai fini ovviamente della legittimazione all'opposizione alla richiesta di archiviazione ed al conseguente ricorso per cassazione, del convivente more uxorio.
Ciò perché il vincolo matrimoniale rileva non in quanto e nella sua pura formalità, ma poiché ad esso sottostà quel "nucleo relazionale-affettivo" cui l'ordinamento ritiene di offrire tutela e crismi di giuridicità.
Alla luce della giurisprudenza CEDU e della stessa progressiva rivisitazione dell'istituto della convivenza familiare di fatto, può dirsi che allo stato si sia delineato un concetto di nucleo familiare che si consolida pur in assenza di un vincolo di coniugio formale e che dà vita, ciò nonostante, ad un consorzio di persone tra le quali, egualmente, si instaurano strette relazioni affettive, consuetudini di vita e rapporti di assistenza e solidarietà reciproca, protesi a durare, senza margini predefiniti temporali.
Annullato il decreto impugnato per violazione del contraddittorio, la parola passa al giudice del rinvio per un nuovo esame.