di Lucia Izzo - Va annullata poichè illegittima la normativa con cui il ministero della Giustizia ha introdotto e disciplinato una serie di incompatibilità e conflitti di interessi della categoria dei mediatori.
Lo ha disposto il Tar Lazio di Roma, sezione prima, nella sentenza n. 3989/2016 (qui sotto allegata), Presidente Volpe, Estensore Correale.
Il ricorso è avanzato dal Coordinamento della Conciliazione Forense che riunisce avvocati mediatori ovvero associazioni forensi operanti nel campo della mediazione, contro il Decreto del Ministro della Giustizia del 4.08.2014 n. 139, che ha inserito l'art. 14-bis nel Decreto del Ministro della Giustizia del 18.10.2010 n. 180.
Sostanzialmente, nella disciplina della mediazione civile e commerciale, il Ministero ha introdotto una variegata serie di incompatibilità con effetto di incidere sulla categoria degli avvocati-mediatori.
I ricorrenti lamentano che il Governo abbia dato luogo a "straripamento di potere", agendo in carenza di specifica delega legislativa, dato che lo stesso "decreto delegato" n. 28/2010 aveva provveduto ad attenersi alle indicazioni della "legge delega" in ordine alle garanzie di imparzialità del procedimento di mediazione e aveva dato luogo, sul punto, ad una riserva di regolamento in favore dei singoli Organismi di mediazione, con un meccanismo perfettamente in linea con il sistema di risoluzione alternativo delle controversie, principalmente basato sulla centralità delle parti e sulla volontarietà delle scelte che le stesse possono effettuare all'interno del procedimento in questione.
Il Tribunale ritiene che la doglianza attorea meriti accoglimento, e osserva che il regolamento dell'organismo scelto dalle parti assume un ruolo centrale nell'assetto della procedura: ciò appare del tutto in linea con la volontà del legislatore "delegante" di dare rilievo alla struttura di mediazione in sé considerata più che ai singoli componenti.
La "centralità" riconosciuta all'organismo, proseguono i giudici, è rafforzata dalla previsione dell'art. 8 d.lgs. cit. (come modificato dal d.l. n. 69/2013, conv. in l. n. 98/2013), secondo la quale è il responsabile dell'organismo a designare un mediatore e fissare un primo incontro tra le parti e non sono le parti a "scegliersi" il singolo mediatore (a differenza di quel che accade, ad esempio, per l'arbitrato).
Quindi, il legislatore ha considerato modalità idonee a garantire l'imparzialità e terzietà del mediatore, rinviando alla relativa regolamentazione ad opera del singolo organismo di mediazione - a sua volta vigilato dal Ministero della Giustizia - e alla dichiarazione di impegno alla sua osservanza che ogni mediatore dove sottoscrivere per ciascun affare.
In materia, lo spazio lasciato alla decretazione ministeriale appare assai limitato e, quindi, emerge un quadro dotato di evidente chiarezza, da cui si evince che in materia di garanzie di imparzialità è demandato a provvedere con il proprio codice etico lo stesso organismo di mediazione, soggetto su cui è centrata l'attenzione al fine di regolamentare l'intera procedura fermo restando il potere del Ministero della Giustizia di vigilare in ogni momento.
La peculiare figura dell'avvocato-mediatore, proseguono i giudici, è emersa peraltro a seguito della riforma del settembre 2013 (d.l. n. 69/13, conv. in l. n. 98/13, "decreto del fare") che ha inserito nel testo dell'art. 16 del d.lgs. n. 20/2010 il comma 4 bis, secondo il quale "Gli avvocati iscritti all'albo sono di diritto mediatori".
Il richiamo alla qualifica assunta "di diritto", secondo la norma primaria come innovata, ad avviso del Collegio evidenzia la peculiarità della figura dell'avvocato-mediatore, che dà luogo ad una inscindibilità di posizione laddove un avvocato scelga di dedicarsi (anche) alla mediazione.
Il decreto ministeriale in esame non ha tenuto conto della peculiare disciplina che regola la professione forense e allo specifico codice deontologico (il cui art. 62 prevede esplicitamente la regolamentazione della funzione di mediatore per colui che è avvocato) e neppure, proseguono i giudici del TAR, è stata colta appieno l'estrema, variegata composizione degli studi legali professionali sparsi sul territorio e ilrapporto numerico con gli organismi di mediazione in ciascun distretto.
Con l'introduzione dell'esteso e generalizzato regime di incompatibilità di cui all'art. 14 bis d.m. n. 139/14, senza specifica "copertura legislativa", si è invece dato luogo ad una commistione di incompatibilità e conflitti di interessi cui devono sottostare gli "avvocati-mediatori" che non aveva ragione di essere e che meritava, eventualmente, pari sede legislativa primaria.
Alla luce di quanto illustrato, quindi, il ricorso deve trovare accoglimento, comportando l'espunzione dell'intero art. 14 bis dal testo del d.m. n. 180/2010.
La fondatezza del ricorso introduttivo comporta, poi, anche l'annullamento dell'impugnata circolare ministeriale di cui ai motivi aggiunti, per illegittimità derivata.
Tar Lazio, sent. 3989/2016