di Lucia Izzo - La madre che dà in comodato al figlio una casa, affinché costui possa metter su famiglia, non può pretenderla indietro dopo che i rapporti si sono deteriorati appigliandosi all'ipotesi di contratto "precario" prevista dall'art. 1810 c.c.; infatti, se l'immobile è adibito a un uso determinato, il contratto rientra nell'ipotesi di comodato ordinario, il cui termine finale coincide con il venir meno delle esigenze alle quali il bene oggetto del negozio risponde, se non è diversamente stabilito dalle parti un termine ad hoc.
Lo ha disposto il Tribunale di Fermo, sentenza 34/2016, pubblicata dalla sezione civile (giudice onorario Rossella Maurizi) che ha ritenuto fondata l'istanza di parte resistente, ovverosia del figlio dell'attrice, donna dal cospicuo patrimonio in quanto proprietaria di diversi immobili ottenuti a seguito di sentenza di divorzio.
Tuttavia, non vi è dubbio che il contratto di comodato stipulato con il figlio, affinché adibisca l'immobile a sua casa familiare, non sia precario, ma a uso determinato, con la conseguenza che il comodante deve garantirne un godimento continuato per l'uso previsto dal contratto, che è stato anche regolarmente registrato presso l'Agenzia delle entrate.
La madre, inoltre, non ha mai contestato la destinazione dell'immobile, come emerge anche dalla prova orale acquisita che dimostra "per tabulas" quanto sostenuto da parte resistente.
È l'attrice, invece, che non riesce a fornire la prova di un "urgente e imprevisto bisogno", serio e ritualmente documentabile (quindi non astratto), tale da giustificare, ex art. 1809 c.c., la restituzione dell'appartamento.
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