di Marina Crisafi - In Italia abortire è sempre più difficile e i medici non obiettori sono discriminati. Sono queste le conclusioni cui è giunto il consiglio d'Europa accogliendo il ricorso presentato dalla Cgil e bacchettando il nostro paese per l'applicazione a singhiozzo della l. n. 194/1978 data la mancata adozione (o l'adozione non sufficiente) delle misure necessarie per compensare le carenze del personale sanitario che decide di invocare il diritto all'obiezione di coscienza.
Secondo il ricorso della Confederazione generale italiana del lavoro le norme sull'obiezione di coscienza previste dalla legge sull'interruzione volontaria di gravidanza non sarebbero applicate adeguatamente in aperta violazione della carta sociale europea.
Per il consiglio le doglianze sono plausibili. Nella decisione adottata ad ottobre ma resa pubblica solo oggi, il comitato europeo dei diritti sociali del consiglio d'Europa ha ritenuto così di accogliere il ricorso del sindacato teso a denunciare che la situazione attuale in Italia "non protegge il diritto garantito delle donne all'accesso all'aborto", e nemmeno "i diritti dei medici coinvolti nei servizi per l'interruzione volontaria di gravidanza", che sono spesso discriminati sul lavoro.
Ricorso corredato dai dati che mostrano il progressivo aumento del numero degli obiettori di coscienza in Italia: se nel 2003 i ginecologi che non effettuavano aborti erano il 57,8%, nel 2009 si è arrivati al 70,7% con picchi al Sud che superano anche l'85% come in Basilicata.
Nella decisione il Consiglio, atteso che in alcune regioni il numero di strutture che assicurano la possibilità di abortire è inferiore al 30%, spiega che "questo non giustifica la conclusione contenuta nell'ultima relazione al Parlamento sulla legge 194 - in cui si afferma che - la copertura è più che soddisfacente". Mancano i dati, infatti, sul numero delle donne alle quali "sono stati negati i servizi a causa della mancanza di personale non obiettore". Anche per tale motivo, le carenze descritte permangono e le donne che hanno bisogno di accedere ai servizi per l'aborto "continuano a dover affrontare notevoli difficoltà nell'ottenerlo nella pratica, nonostante le disposizioni della normativa in materia".
Il che, avverte il Consiglio, può spingerle a rivolgersi a strutture, in Italia o all'estero, che non hanno il supporto delle istituzioni pubbliche competenti, con tutte le conseguenze del caso.
In merito, si ricorda, tra l'altro, che oggi, a seguito della recente operazione depenalizzazione effettuata dal Governo, l'aborto clandestino non è più reato ma illecito amministrativo con sanzioni per le donne (e solo per loro) fino a 10mila euro (leggi: "L'aborto clandestino non è più reato ma donne punite fino a 10mila euro").