Ci si riferisce, in particolare, alla numero 6512/2016, depositata il 4 aprile (qui sotto allegata), con la quale i giudici di Piazza Cavour hanno sancito che se la scrittura privata non autenticata forma un unico corpo con il foglio sul quale è stato apposto il timbro, la data che risulta da quest'ultimo deve essere reputata come la data certa della scrittura, ai fini della computabilità di fronte ai terzi.
Per la Corte, infatti, la timbratura che sia stata eseguita in un ufficio pubblico è equivalente ad un'attestazione autentica circa l'invio del documento il medesimo giorno in cui essa è stata eseguita.
Tale principio di diritto, in realtà, non è nuovo ma era stato affermato dalla Cassazione già con l'ormai risalente sentenza numero 10873/1999.
Nel caso di recente all'attenzione dei giudici, più nel dettaglio, la questione era sorta a seguito del respingimento, da parte del Tribunale di Monza, dell'opposizione allo stato passivo proposta da un istituto di credito, escluso dal passivo fallimentare senza che gli fosse riconosciuto il credito richiesto in forza del saldo di un conto corrente bancario.
L'istituto era quindi ricorso per cassazione lamentando, tra le altre cose, la violazione dell'articolo 2704 del codice civile, che disciplina la data della scrittura privata nei confronti dei terzi. Nel merito, infatti, era stata accolta l'eccezione di difetto di data certa relativa alla documentazione versata dalla banca.
La Corte, proprio sulla base del predetto principio di diritto, ha invece accolto le lamentele dell'istituto di credito: nel documento 11, allegato al suo ricorso ex art. 98 LF, la banca aveva infatti indicato un atto sulla cui ultima pagina era riportato il timbro dell'Ufficio postale e, come tale, era munito quindi di data certa che risultava anteriore alla dichiarazione di fallimento della debitrice.
La causa torna quindi dinanzi al Tribunale di Monza.
Corte di cassazione testo ordinanza numero 6512/2016