di Lucia Izzo - L'intollerabilità della convivenza con il partner rischia di portare a gesti estremi come l'allontanamento violento di questi dalla casa familiare.
Si tratta, tuttavia, di un comportamento che ha serie ripercussioni legali in sede di separazione e che, pertanto, è preferibile non mettere in atto per evitare che l'emotività porti a conseguenze ben più gravi.
L'art. 143 del codice civile (Diritti e doveri reciproci dei coniugi) stabilisce, infatti, che "dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione".
La sussistenza dell'obbligo di coabitazione impedisce che il coniuge possa essere allontanato, salvo che ricorrano gravi ragioni, prima che le parti adiscano l'autorità giudiziaria (precisamente, non prima dell'udienza di comparizione davanti al Presidente).
Nulla, invece, impedisce al coniuge di allontanarsi volontariamente dal domicilio familiare.
Il coniuge forzatamente estromesso potrebbe, quindi, agire ex art. 1168 c.c. con un'azione di reintegrazione del possesso per essere riammesso nell'abitazione.
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha previsto anche conseguenze penali: nella sentenza n. 40383/2012 (qui sotto allegata) gli Ermellini hanno ritenuto che il comportamento del coniuge che cacci il partner di casa può integrare gli estremi del reato di violenza privata.
Nel caso di specie la moglie, temporaneamente trasferitasi presso i genitori a causa del burrascoso rapporto con il marito, aveva incontrato l'ostilità di costui al momento di ritornare a casa. Per i giudici tuttavia, non essendovi all'epoca provvedimenti dell'Autorità Giudiziaria di assegnazione della casa, la donna aveva il diritto di ritornare, nonostante il temporaneo allontanamento, senza che il coniuge potesse escluderla dal domicilio coniugale.
La questione dell'allontanamento forzato del partner dalla casa coniugale non si è posta, tuttavia, unicamente per quanto riguarda le coppie sposate: la Corte di legittimità è intervenuta in materia con la sentenza n. 7214/2013 (qui sotto allegata) precisando che anche relativamente al convivente more uxorio, l'estromissione violenta o clandestina dall'unità abitativa, compiuta dal partner, giustifica il ricorso alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l'azione di spoglio nei confronti dell'altro quand'anche il primo non vanti un diritto di proprietà sull'immobile che, durante la convivenza, sia stato nella disponibilità di entrambi.
Al convivente che goda con il partner possessore iure proprietatis del medesimo bene va riconosciuta una posizione "riconducibile alla detenzione autonoma (qualificata dalla stabilità della relazione familiare e protetta dal rilievo che l'ordinamento a questa riconosce)".
La strada da seguire, pertanto, per evitare che dalla crisi di coppia possano derivare conseguenze dannose a capo della parte, magari anche maggiormente lesa da un rapporto di coppia particolarmente conflittuale, è il ricorso all'autorità giudiziaria.
Cass., II sez. civ., sent. 7214/2013
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