di Valeria Zeppilli - Nel nostro ordinamento, in via generale, l'avvocato può rappresentare se stesso nei giudizi in cui è coinvolto personalmente. Tale regola, però, inizia a conoscere alcune eccezioni.
Con un recente provvedimento, la Procura della Repubblica presso il Tribunale civile di Palermo ha infatti chiarito che non è possibile per i legali difendersi da soli nei procedimenti di negoziazione assistita previsti per la separazione personale dei coniugi.
In caso contrario, infatti, si rischierebbe un'illecita commistione tra rapporto coniugale e rapporto professionale.
Nel procedimento introdotto dall'articolo 6 della legge numero 132/2014, del resto, non può ritenersi applicabile quanto previsto dall'articolo 86 del codice di procedura civile, che regolamenta la difesa personale della parte senza escludere le cause di famiglia. Il motivo è di facile intuizione: manca il giudice, soggetto terzo che gestisce i rapporti e decide del merito.
Con la conseguenza che, stante tale assenza, nella negoziazione assistita gli avvocati assumono un ruolo diverso e ben più delicato, che rende concreto il rischio di una commistione di interessi.
Così, nel caso sottoposto all'attenzione della Procura della Repubblica siciliana, l'accordo di separazione raggiunto sotto forma di negoziazione assistita tra un avvocato e sua moglie è stato dichiarato inammissibile.
Peraltro, considerando che la negoziazione prevede la presenza di almeno un avvocato per parte, ammettere la gestione autoassistenziale della procedura potrebbe far sì che, se i coniugi sono entrambi avvocati, si creerebbe una situazione in cui la negoziazione non sia altro che un quadro dei litigi domestici.