di Marina Crisafi - Ricordare al proprio vicino di casa che deve morire o annunciargli che tanto gli restano pochi giorni di vita non integra il reato di minaccia. Ad affermarlo è la quinta sezione penale della Cassazione (con la sentenza n. 15646/2016 qui sotto allegata) pronunciandosi su una classica lite di condominio, caratterizzata da uno scontro verbale piuttosto acceso e conclusa con una frase carica di rabbia. Frase che ha portato l'uomo verso il quale era rivolta a trascinare il dirimpettaio in giudizio. Ma se le sue doglianze sono state accolte dai giudici di merito, che hanno ritenuto colpevole il vicino del reato di minaccia condannandolo alla pena di 51 euro di multa oltre al risarcimento del danno morale in favore della persona offesa, non hanno trovato terreno altrettanto fertile in Cassazione.
Per gli Ermellini, considerando il contesto, è illogico parlare di responsabile penale. L'espressione in questione "ti restano pochi giorni" correttamente contestualizzata, infatti, "avuto riguardo anche alle qualità personali dei soggetti coinvolti ed all'esistenza tra loro di meri dissapori per ordinarie questioni condominiali, era priva di reale valenza diffamatoria, non potendo neppure escludersi che avesse finalità di mera suggestione, per ovvia possibilità di essere recepita come connotata da capacità iettatoria".
Ed invero, un'espressione siffatta, "del tutto equivalente a quella "devi morire'" (cfr. Cass. 10.4.2010), ha proseguito la Cassazione, "se, in astratto, è inidonea a configurare gli estremi della minaccia - alla stregua dei consolidato principio di diritto secondo cui, perché si perfezioni il delitto di minaccia, è necessario che l'agente prospetti un male ingiusto che, quand'anche non proveniente da lui, dipenda dalla sua volontà - può assumere, nel particolare contesto in cui è stata pronunciata od in ragione di peculiari modalità della vicenda o della qualità delle persone coinvolte, il contenuto della minaccia, ove l'evento morte possa, plausibilmente e realisticamente, prospettarsi come riconducibile alla volontà dell'agente". Cosa da escludersi nel caso di specie, nel quale l'uomo potrà meritare al massimo la patente di iettatore ma non certo la condanna penale. Da qui l'annullamento della sentenza perché il fatto non sussiste.
Cassazione, sentenza n. 15646/2016
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