di Valeria Zeppilli - Uno dei pochi casi in cui il lavoratore, nel nostro ordinamento, ha una tutela ancora forte rispetto a un licenziamento illegittimo è quello in cui il recesso è sorretto da ragioni discriminatorie.
Ma quando, in concreto, un licenziamento può definirsi discriminatorio?
Come al solito la risposta va ricercata nelle pronunce giurisprudenziali.
Recentemente, ad esempio, la Corte di cassazione ha qualificato come discriminatorio un licenziamento intimato a un lavoratore dopo che era stata accertata la sua invalidità, la condizione di non vedente, ed esclusivamente in forza di tale fatto.
Con la sentenza numero 8248/2016, depositata il 26 aprile e qui sotto allegata, i giudici hanno infatti precisato che tale accertamento non significa di per sé che il dipendente non sia più abile a svolgere le mansioni.
È infatti il datore di lavoro che deve fornire in concreto la prova del fatto che la nuova condizione ostacoli la capacità del dipendente di rendere proficuamente la propria prestazione.
Nel caso di specie, invece, era stata solo la condizione di invalidità del lavoratore ad aver spinto al licenziamento, mentre nessun fatto specifico gli era stato rimproverato in ordine alla sua incapacità a rendere proficuamente la prestazione lavorativa.
La sentenza con la quale la Corte d'appello non ha riconosciuto la natura discriminatoria del licenziamento pur in difetto di prova della non proficuità della prestazione lavorativa va quindi cassata: il giudice del merito deve provvedere a una nuova, più accurata, analisi.
Corte di cassazione testo sentenza numero 8248/2016• Foto: 123rf.com