di Valeria Zeppilli - Se l'avvocato "dimentica" di avanzare stragiudizialmente una richiesta di risarcimento dei danni subiti dal suo cliente e avvia subito una causa, il rischio è che egli sia chiamato a rimborsare il suo assistito, se soccombente, delle spese di giudizio sostenute.
Con la sentenza numero 129/2016, infatti, il Tribunale di Ravenna ha condannato un legale a pagare le predette spese per non aver tentato la via stragiudiziale e, così, aver fatto cagionato la soccombenza del suo cliente in giudizio per difetto della condizione di cui all'articolo 287 del decreto legislativo numero 209/2005 (codice delle assicurazioni private). In base a tele norma, "l'azione per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi e' obbligo di assicurazione, puo' essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni da quello in cui il danneggiato abbia chiesto il risarcimento del danno, a mezzo raccomandata".
Il nesso di causalità è evidente: se rispettando un onere di facile e rapido adempimento il legale non si fosse affrettato a fare causa ma avesse avanzato le proprie richieste per conto del suo assistito stragiudizialmente, la condanna di quest'ultimo alle spese di lite non sarebbe arrivata.
Del resto, nel successivo giudizio l'uomo ha avuto ragione.
Fortunatamente l'avvocato ha un'assicurazione professionale che lo tutela, anche se solo in parte.
Secondo un orientamento ormai consolidato della Corte di cassazione, infatti, il rischio coperto è solo quello relativo al risarcimento dei danni subiti dal cliente, mentre non potrà essere l'assicurazione a farsi carico anche della restituzione del compenso percepito.
L'obbligazione di restituzione, insomma, non rientra tra quelle che rientrano nel contratto di assicurazione professionale.
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