di Marina Crisafi - La sottrazione di cose comuni disciplinata dall'art. 627 c.p. non è più prevista dalla legge come reato e questo vale anche per i fatti anteriori all'entrata in vigore dell'operazione depenalizzazione del Governo (ex d. lgs. n. 7/2016). A ricordarlo è la Cassazione, con la sentenza n. 18542/2016 (qui sotto allegata), annullando senza rinvio la condanna nei confronti di un uomo per il reato di cui all'art. 627 c.p. inflitta dalla Corte d'Appello di Napoli.
L'uomo, a mezzo del proprio difensore, deduceva violazione di legge e ricorreva davanti al Palazzaccio.
E la seconda sezione penale gli dà ragione. In caso di abolitio criminis, hanno affermato dalla S.C. infatti, "poiché tale evento fa venire meno, ancor più che la validità e la efficacia della norma penale incriminatrice, la sua stessa esistenza nell'ordinamento, ogni giudice che sia formalmente investito della cognizione sulla fattispecie oggetto di abrogazione ha il compito di dichiarare che il fatto non è previsto dalla legge come reato, in ossequio al precetto di cui all'art. 2, comma 2, c.p. per il quale nessuno può essere punito per un fatto che secondo una legge posteriore non costituisce reato".
Per cui la sentenza va annullata senza rinvio.
La sottrazione di cose comuni si ricorda si ha quando "il comproprietario, socio o coerede che, per procurare a sé o ad altri un profitto, si impossessa della cosa comune, sottraendola a chi la detiene.
Tale comportamento oggi non è più considerato reato e soggiace alla sanzione pecuniaria civile da euro cento ad euro 8mila, "salvo che il fatto sia commesso su cose fungibili e il valore di esse non ecceda la quota spettante al suo autore", sempre che la parte danneggiata si attivi instaurando un ordinario giudizio civile per il risarcimento del danno.
La trasformazione del reato in mero illecito civile si applica anche ai fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore della riforma, salvo che il procedimento penale non sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili.
Cassazione, sentenza n. 18542/2016
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