di Lucia Izzo - L'errore del difensore, che omette di impugnare l'atto nei termini di legge o lo fa in maniera inesatta, non è idoneo a realizzare le ipotesi di caso fortuito o di forza maggiore. Pertanto l'assistito non potrà chiedere la restituzione in termini.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, nella sentenza n. 18716/2016 (qui sotto allegata).
Il ricorrente impugna l'ordinanza con cui la Corte di appello ha rigettato la sua richiesta di restituzione nel termine per proporre appello avverso la sentenza emessa dal Tribunale monocratico che lo aveva condannato alla pena di anni uno e mesi cinque di reclusione per i delitti di minaccia, ingiuria e calunnia.
I giudici rigettavano la richiesta ritenendo non ravvisabili nel caso di specie l'ipotesi di caso fortuito o di forza maggiore, poiché la mancata tempestiva proposizione dell'impugnazione era ascrivibile al difensore dell'imputato per ignoranza della legge processuale penale, il quale aveva procrastinato la presentazione dell'appello in attesa della notifica dell'estratto contumaciale all'assistito, in realtà non dovuta, in quanto quest'ultimo, dopo essere rimasto originariamente contumace, era comparso in udienza per sottoporsi ad esame.
La difesa, in sede di legittimità, pone l'accento sul caso fortuito che, secondo la giurisprudenza, sarebbe integrato da "ogni evento non evitabile con la normale diligenza e non imputabile al soggetto a titolo di colpa o dolo", segnalando, quindi, che non può ravvisarsi alcuna colpa nella condotta dell'imputato posto che egli era stato rassicurato dal legale e non aveva elementi per insospettirsi dell'imperizia di questo, concretatasi nell'incorrere in un palese ed imprevedibile errore di diritto.
Il Procuratore Generale, chiedendo il rigetto del ricorso, evidenzia nella sua requisitoria che la soluzione prospetta dalla difesa determinerebbe de facto una inosservanza generalizzata dei termini ordinari, e che, secondo diffusa giurisprudenza, un preciso dovere di diligenza grava anche sul cliente, il quale, tra l'altro, ha l'onere di controllare l'esatto adempimento dell'incarico da parte del difensore, pure quando questi è nominato di fiducia.
Si tratta di un assunto che gli Ermellini condividono: nonostante le pronunce giurisprudenziali illustrate compiutamente dalla difesa, l'orientamento maggioritario, chiariscono i giudici, è nel senso che il mancato o inesatto adempimento da parte del difensore di fiducia dell'incarico di proporre impugnazione, a qualsiasi causa ascrivibile, non è idoneo a realizzare le ipotesi di caso fortuito o di forza maggiore.
Ciò avviene sia in quanto tale mancato o inesatto adempimento consiste in una falsa rappresentazione della realtà, superabile mediante la normale diligenza ed attenzione, sia perché non può essere esclusa, in via presuntiva, la sussistenza di un onere dell'assistito di vigilare sull'esatta osservanza dell'incarico conferito, nelle ipotesi in cui il controllo sull'adempimento defensionale non sia impedito al comune cittadino da un complesso quadro normativo.
Il Collegio ritiene che questa seconda soluzione risulta coerente anche con le indicazioni della giurisprudenza delle sezioni civili, secondo la quale la decadenza da un temine processuale, ivi compreso quello per impugnare, non può ritenersi incolpevole e giustificare, quindi, la rimessione in termini, ove sia avvenuta per errore di diritto. In particolare, sembra corretto osservare che, nel caso di mancato rispetto dei termini di impugnazione, non ricorre semplicemente un onere dell'imputato di vigilare sull'attività del difensore, posto che la facoltà di impugnare spetta personalmente al primo, in via autonoma e concorrente rispetto al secondo.
Cass., VI sez. pen., sentenza n. 18716/2016• Foto: 123rf.com