Avv. Francesco Pandolfi - In materia di armi i reati non sono tutti uguali. Non tutti infatti consentono alla Prefettura di emettere un decreto con cui si può vietare ad una persona di detenere armi, munizioni e materiali esplodenti. Il risvolto pratico di questa astratta previsione è che al verificarsi di determinate fattispecie penali il ricorso avverso il decreto prefettizio di divieto di detenzione armi sarà accolto.
Il caso
Nel caso trattato dalla sentenza del Tar Napoli, sezione V, n. 1872 del 15 aprile 2016, Tizio, titolare di una licenza di porto di fucile ad uso caccia, ricorre contro un decreto prefettizio di divieto di detenzione armi, fondato su una segnalazione inviata dai Carabinieri con la quale si rappresenta che il soggetto, destinatario di un'ordinanza applicativa di misura cautelare personale, è stato sottoposto all'obbligo di presentazione quotidiana all'ufficio di P.G. siccome indagato per abusivismo edilizio e violazione dei sigilli.
L'orientamento del giudice
Il Tar premette che il potere accordato dalla legge al Prefetto è caratterizzato da una discrezionalità particolarmente ampia, tuttavia il ragionamento della magistratura è molto più ampio e richiama l'attenzione sul metodo da impiegare per giungere ad un "giudizio prognostico".
In forza di tale orientamento l'Amministrazione deve, per mezzo di un prudente apprezzamento di tutte le circostanze del caso in esame, percepire il vero pericolo rappresentato dal possibile uso delle armi possedute e non, al contrario, esprimere un giudizio arbitrario o irrazionale.
La soluzione della vicenda
Stando al chiaro pensiero dei saggi Magistrati, non può esistere alcuna valida connessione del presunto reato di abusivismo edilizio con il tema delle armi.
Certamente il fatto di commettere un reato può indurre a pensare ad una condotta comunque biasimevole ma, come si sa, non solo e non tanto l'ipotesi accusatoria deve essere pienamente provata durante un processo penale articolato in vari gradi di giudizio, ma per ciò che più attiene al mondo delle armi è necessario trovare nella circostanza concreta la convergenza di elementi prognostici, sintomatici e della stessa complessiva personalità dell'interessato per arrivare a dire che egli è inaffidabile.
In buona sostanza: non si trovano elementi per poter dire che l'interessato sia privo dell'affidabilità.
Il ricorrente ha ragione
Il Tar ricostruisce la vicenda in modo semplice e lineare, ricordando che il potere prefettizio è di ampia latitudine ma non può mai sconfinare nell'arbitrio; nel caso concreto il ricorrente probabilmente ha commesso un reato che però non è posto in nesso causale con l'impiego delle armi, tra l'altro nello specifico la misura cautelare ex art. 282 c.p.p. era pure cessata al momento dell'adozione del provvedimento del Prefetto.
Cosa fare in casi analoghi
Esaminare accuratamente il decreto del Prefetto e chiedersi se questo possa essere criticato in giudizio, in quanto il primo si basa su un reato sganciato dal mondo armiero: se l'esame da esito positivo procedere con il ricorso avanti il Tar il quale, fermi i presupposti sopra indicati, accoglierà la domanda.
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