di Marina Crisafi - Telefonare e inviare sms ripetutamente anche di notte al partner può integrare il reato di molestia, a meno che la condotta non sia reciproca o comunque tale da escludere la petulanza e l'interferenza indebita nella sfera della libertà della persona offesa. È quanto si ricava dalla sentenza (n. 19767/2016 depositata ieri, qui sotto allegata), con la quale la prima sezione penale della Cassazione ha scagionato una donna condannata dai giudici di merito per il reato ex art. 660 c.p. per aver recato al proprio partner "molestie e disturbo, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, telefonando ed inviando sms ripetutamente anche in ora notturna".
Secondo i giudici, la frequenza ed il numero rilevantissimo di messaggi dal contenuto offensivo inviati, faceva sussistere la fattispecie delittuosa contestata, sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo, escludendo la "reciprocità" delle molestie, in quanto i messaggi inviati dalla persona offesa all'imputata erano di tenore diverso e caratterizzati da minore ripetitività.
La donna però non ci sta e adisce il Palazzaccio sostenendo che i contatti con la persona offesa erano reciproci e realizzati da due soggetti consenzienti nell'ambito della relazione affettiva all'epoca esistente, accettata da entrambi anche per quanto riguarda le modalità dei contatti.
Gli Ermellini le danno ragione.
Anzitutto, premettono, nella contravvenzione di cui all'art. 660 c.p. "l'illiceità penale del fatto è subordinata alla petulanza o altro biasimevole motivo e alla volontà dell'agente di interferire inopportunamente nell'altrui sfera di libertà". Per cui, la sussistenza di tali presupposti "va verificata in concreto con riferimento all'elemento costitutivo che connota la condotta del reo che deve essere, appunto, realizzata per petulanza o altro biasimevole motivo, condizione esclusa nel caso di reciprocità ovvero di ritorsione delle molestie".
Nel caso di specie, è pacifico che tra l'imputata e la persona offesa era in atto "una travagliata e burrascosa relazione sentimentale" caratterizzata da contrasti e litigi che avvenivano essenzialmente a mezzo del telefono. Come è altrettanto pacifico che l'uomo aveva tentato di contattare più volte l'imputata nonostante il rifiuto di quest'ultima.
Pertanto, "indipendentemente dalla contestualità delle reciproche telefonate e dei messaggi inviati", l'accertata relazione contrassegnata "proprio dai continui e costanti contatti telefonici con frequenti litigi esclude la petulanza e, soprattutto, la interferenza indebita nella sfera di libertà della persona offesa attraverso le telefonate e gli sms in contestazione".
Da qui l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Cassazione, sentenza n. 19767/2016