di Gabriella Longo - Il principio di legalità costituisce uno dei fondamenti essenziali dell'ordinamento giuridico.
In diritto amministrativo esso trova la sua massima estrinsecazione nell'art. 97 Cost., ma l'intera legislazione di settore è permeata da tale principio nella misura in cui l'agere pubblicistico è vincolato al perseguimento dei fini predisposti della legge.
E' proprio la finalizzazione dell'attività della Pubblica Amministrazione a radicare in capo ad essa la potestas agendi volta al miglior soddisfacimento dell'interesse pubblico.
La legge attribuisce un potere alla Pubblica Amministrazione la quale individua i mezzi per perseguire quel dato obiettivo nei limiti e secondo i parametri predeterminati dal legislatore.
E' vero che la Pubblica Amministrazione è dotata di discrezionalità ma è pur vero che tale discrezionalità non può sconfinare oltre le direttive fornite dalla legge.
La dottrina e la giurisprudenza distinguono tre accezioni di legalità: in senso debolissimo, in senso debole e in senso forte.
In base al principio di legalità in senso debolissimo la Pubblica Amministrazione può orientare il suo operato nel senso di tutto ciò che non è vietato dalla legge.
Secondo la sua accezione in senso debole essa è vincolata a quanto previsto dalla legge con riguardo alle condizioni generali di esercizio del potere.
Inteso in senso forte la legalità restringe il campo d'azione del soggetto pubblico a quello, e solo quello che è statuito dal legislatore.
La categoria dei c.d. poteri impliciti è stata oggetto di accesa diatriba in ordine alla sua compatibilità con il principio di legalità
Essa rappresenta quella species di poteri, non espressamente previsti dalla legge, che sono strumentali, serventi, di accompagnamento al potere che il legislatore, expressis verbis, riconosce in capo alla Pubblica Amministrazione.
Va distinta tanto dalla categoria degli "atti impliciti", poichè non concerne atti ma a monte l'esercizio del potere, quanto dalle ipotesi peculiari di silenzio, posto che in questo caso non vi è nè silenzio nè tantomeno inerzia della Pubblica Amministrazione.
Se intendiamo la legalità in senso forte non vi sarebbe spazio per i poteri impliciti poichè prevarrebbe l'esigenza di garantismo a favore del privato nel bilanciamento degli interessi contrapposti.
All'opposto, questa categoria sarebbe sicuramente ammessa in ipotesi di legalità in senso debolissimo, ma, in tal caso vi sarebbe una sproporzione a vantaggio dell'amministrazione, la quale avrebbe ampi margini di azione a fronte di carenze di tutela per il privato.
Ed infatti la quaestio iuris che si è posta tanto in dottrina, quanto in giurisprudenza, attiene proprio all'individuazione del corretto equilibrio tra legalità e poteri impliciti.
Secondo una parte della dottrina e della giurisprudenza parrebbe preferibile intendere la legalità non in un'accezione relativista, nè totalizzante assolutista, ma ricorrendo ad un'interpretazione mediana del principio in oggetto che consenta, da un lato, di rispondere al mutevole divenire della società e alla specializzazione per determinati settori, dall'altro di garantire il rispetto della legge e la tutela del cittadino, in un settore, quello del diritto amministrativo, dove geneticamente la pubblica amministrazione, nell'esercizio delle sue funzioni pubbliche, si trova su un piano preferenziale (non equiordinato).
Al fine di evitare l'obsolescenza, la staticità e l'inadeguatezza della legge per determinati settori connotati da particolare tecnicismo, in alcuni casi, pare più opportuno aprire all'ammissibilità dei poteri impliciti.
Non è un caso che la problematica si è posta, in particolare, anche se non solo, per le Autorità Indipendenti, le quali sono dotate di particolari poteri caratterizzati da una maggiore autonomia per le peculiarità delle materie in cui intervengono, a fronte di un grado di tecnicizzazione della materia piuttosto elevato, e tenuto conto delle maggiori necessità di garanzie per il privato.
Le Autorità Indipendenti, infatti, sono dotate di potestà di vigilanza, regolatoria e sanzionatoria e, nell'esercizio della loro potestas operano con l'intento di perseguire la finalità per la quale sono state create.
In tale contesto può accadere, tuttavia, che il margine di autonomia ad esse spettanti sia foriero di uno sconfinamento dai poteri propri dell'Autorità che non trovi fondamento neppure su un esercizio strumentale e funzionale all'attività; in questo caso non residua alcuno spazio per ammettere la categoria dei "poteri impliciti".
Pur se non esplicitamente palesato, l'orientamento della giurisprudenza è nel senso dell'ammissibilità, seppur con le dovute cautele, dei c.d. poteri impliciti, anche se, nelle fattispecie concrete, presentatesi dinnanzi all'Autorità giudiziaria, vedi ad esempio il caso delle "tariffe" dell'Autorità garante per l'energia elettrica ed il gas (in particolare l'art. 3 l. 481/95), nel merito, per carenza dei requisiti propri di ammissibilità dei poteri impliciti, ha concluso in senso negativo.
E' comunque da evidenziare una volontà di giurisprudenza e dottrina, fatta propria dal legislatore, di razionalizzare la categoria in esame attraverso previsioni espresse di legge che eliminino in radice il problema di compatibilità con il principio di legalità.
Ciò, in tal senso, si è avuto, ad esempio, con la l. 15/2005 di riforma della legge sul procedimento amministrativo (l. 241/90), con riguardo al potere di revoca del provvedimento ex 21 quinquies, il potere di recesso ex 21 sexies e di annullamento d'ufficio ex 21 nonies l. 241/90.
Resta da capire, pertanto, quale sarà in futuro l'ambito di operatività dei poteri impliciti, e, a priori, se residuerà uno spazio applicativo per questa categoria, o se sarà destinata a scomparire in virtù dei plurimi interventi del legislatore volti a riassorbire entro i parametri della legalità la fattispecie in oggetto.