Sproporzionata la sanzione del licenziamento se non sono dimostrati dolo ed intenzionalità
Avv. Laura Lieggi - Con la sentenza nr. 15437/2010 il Tribunale di Milano sez. Lavoro condannava la società Auchan a reintegrare un dipendente licenziato perché ritenuto responsabile di essersi appropriato ed aver occultato merce di un valore pari a circa 3 euro.
La società appellava la sentenza di primo grado che veniva confermata dalla Corte D'appello di Milano con sentenza nr. 1905 del 2012.
La Corte d'Appello di Milano infatti stabiliva che:
"l'appello proposto da Auchan non sia fondato. La società ha censurato la sentenza sotto diversi profili: - Per aver il primo giudice erroneamente ritenuto non raggiunta la prova della giusta causa di licenziamento valutando il comportamento addebitato al ricorrente frutto di mera dimenticanza; - Per non avere il Tribunale considerato che la volontà appropriativa doveva ritenersi presunta, con onere della controparte di dimostrare il contrario: - Per aver erroneamente il giudice di prime cure valutato la sanzione come sproporzionata, trattandosi invece di sanzione adeguata alla compromissione del vincolo di fiducia, prendendo inoltre ingiustamente a paragone pregressi casi analoghi riferiti ad altri dipendenti; Nessuna della sopra elencate doglianze può comportare la riforma della sentenza appellata: ritiene infatti il collegio di condividere pienamente il percorso logico-giuridico esposto dal giudice di prime cure. E' opportuno mettere in evidenza che al lavoratore è stato contestato di aver riposto furtivamente nella tasca del giubotto due delle tre confezioni di minuteria prelevate dagli scaffali non pagandole poi quando si era recato alla cassa selfservice dove invece aveva pagato l'altra merce prelevata. Il lavoratore non ha mai negato di aver effettivamente riposto le due scatoline di minuteria nelle tasche sostenendo di essersi dimenticato di pagarle, anche se, all'atto del controllo, ha mostrato spontaneamente le scatoline affermando di avere fatto "una stupidata". In ordine a questa ultima circostanza sulla quale la appellante si è soffermata deducendone un valore pienamente confessorio occorre rilevare che, anche sulla base delle stesse relazioni di servizio allegate in calce alla memoria difensiva della convenuta in primo grado, il ricorrente dopo aver spontaneamente mostrato le scatoline (relazione sig. ….) ha effettivamente detto di aver fatto "una stupidata" ma nel senso di aver fatto una stupidata a mettere nella tasca della giacca le scatoline; emerge con evidenza tale significato dalla relazione del sig. …. del servizio antitaccheggio. A ragione dunque il giudice di primo grado ha ridimensionato tale affermazione escludendo nella suddetta espressione, come riportata nelle relazioni di servizio, il carattere confessorio del gesto furtivo. Alcuni indizi conducono invece a ritenere, concordemente alla decisione del Tribunale, che sia esclusa la condotta dolosa della appropriazione, ancorchè quest'ultima si dovesse ritenere presunta fino a prova contraria: infatti è pacifico che il lavoratore, che stava facendo la spesa a fine turno, aveva prelevato anche altra merce ma senza utilizzare il cestino: è dunque assai verosimile che non potesse portare tutto in mano e quindi senza dolo si fosse risolto a riporre qualcosa in tasca cominciando dagli oggetti più piccoli: è pacifico che il valore della merce apparentemente nascosta nelle tasche avesse complessivamente un valore modestissimo di euro 2,90, inferiore al valore della restante spesa regolarmente pagata alla casse per un totale poco più di euro 11; un intento doloso credibile avrebbe condotto il lavoratore a non pagare merce di maggior valore: lo stato di disattenzione è inoltre avvalorato dal dato pacifico che il ricorrente aveva lasciata sul banco della cassa anche lo scontrino; entrambe le parti riferiscono inoltre che il …….. aveva dimenticato anche una parte del resto. Giustamente quindi il giudice di primo grado, non ravvisando il comportamento doloso, ha ritenuto sproporzionata la sanzione del licenziamento in quanto, pur trattandosi di comportamento disdicevole, il gesto non aveva compromesso irrimediabilmente la fiducia riposta nel dipendente in un contesto del tutto privo di precedenti disciplinari. Il fatto poi che il primo giudice abbia ulteriormente motivato facendo riferimento anche alle risultanze alle quali era pervenuto il pubblico ministero che aveva iniziato l'azione penale a seguito della denuncia nonché il fatto che in altri casi analoghi, come riferisce un testimone, la reazione datoriale fosse stata meno punitiva, non muta le precedenti conclusioni perché si tratta di motivazioni ad abundantiam, potendosi comunque condividere la decisione anche solo sulla base delle precedenti considerazioni".
La società ricorreva quindi per Cassazione avverso la citata sentenza della Corte d'Appello di Milano.
Il lavoratore, assistito dalla scrivente, si costituiva in giudizio con il patrocinio dell' Avv. Sprecacè D'Ilario Maria Grazia per delega dell'Avv. Uva Gennaro.
Con Sentenza nr. 6764/2016 la Corte di Cassazione poneva fine alla vicenda processuale dichiarando inammissibile il ricorso proposto dalla società e quindi confermando quanto statuito dalle sentenze conformi dei primi due gradi di giudizio.
Ciò che emerge dalla vicenda processuale è quindi che è eccessivo punire con il licenziamento il dipendente colpevole di non aver pagato in cassa merce di scarso valore, senza "dolo" e senza neanche fornire la prova dell'intenzionalità del suo comportamento.
La Cassazione ha inoltre condannato Auchan a pagare più di 3.500 euro di spese di giustizia confermando le precedenti sentenze di primo grado e di appello che avevano dichiarato il licenziamento "sproporzionato" rispetto alle accuse.
Avv. Laura Lieggi
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