di Lucia Izzo - Il badge che registra non solo gli orari di entrata ed uscita dei lavoratori, ma anche le sospensioni, i permessi, le pause del dipendente, realizza di fatto un controllo a distanza rientrante nella fattispecie prevista dal secondo comma dell'art. 4 della L. 300/1970: l'istallazione richiede, pertanto, un accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o l'autorizzazione dell'Ispettorato del Lavoro altrimenti i dati raccolti saranno inutilizzabili.
Lo ha disposto la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza n. 9904/2016 (qui sotto allegata) che ha rigettato rigettato il ricorso di un'azienda e confermato l'illegittimità del licenziamento di un lavoratore.
Il recesso non poteva, secondo i giudici di merito, essere giustificato dai dati acquisiti dal badge elettronico del lavoratore che avevano rilevato anomalie, non coincidenza delle timbrature del dipendente in entrata e in uscita rispetto agli effettivi orari osservati, in accordo con altri quattro colleghi per la sistematica registrazione dal primo ad arrivare in azienda del badge anche per gli altri ed analogamente dall'ultimo ad uscire, così da far figurare per tutti una presenza superiore a quella reale.
L'inutilizzabilità dei dati derivava dall'illegittimità dell'impianto di rilevazione aziendale che, in concreto, realizzava un vero e proprio controllo a distanza del dipendente.
Il badge in uso, infatti, consentiva la trasmissione, mediante sistema on line, alla centrale operativa di Roma di "tutti i dati acquisiti tramite la lettura magnetica del badge del singolo lavoratore, riguardanti non solo l'orario di ingresso e di uscita, ma anche le sospensioni, i permessi, le pause".
Non si trattava, dunque, di un mero rilevatore di presenza, considerando anche conto che il sistema in oggetto consentiva di comparare immediatamente i dati di tutti i dipendenti, realizzando così un controllo continuo, permanente e globale.
Tale controllo a distanza avrebbe richiesto, ai sensi dell'art. 4, secondo comma 1. 300/1970, un accordo scritto (essendo inidoneo uno in forma tacita) con le rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna ovvero, in difetto, di autorizzazione, dell'Ispettorato del Lavoro, ma tutto ciò era mancato nel caso di specie.
Concordi gli Ermellini i quali precisano che "la rilevazione dei dati di entrata ed uscita dall'azienda mediante un'apparecchiatura di controllo predisposta dal datore di lavoro, sia pure per il vantaggio dei dipendenti, ma utilizzabile anche in funzione di controllo dell'osservanza dei doveri di diligenza nel rispetto dell'orario di lavoro e della correttezza dell'esecuzione della prestazione lavorativa, non concordata con le rappresentanze sindacali, né autorizzata dall'ispettorato del lavoro, si risolve in un controllo sull'orario di lavoro e in un accertamento sul quantum della prestazione, rientrante nella fattispecie prevista dal secondo comma dell'art. 4 della legge n. 300 del 1970".
L'istallazione di un impianto non concordato o autorizzato non può essere giustificata dall'esigenza di evitare condotte illecite da parte dei dipendenti: ciò, infatti, porterebbe ad un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore, ma soltanto quando tali comportamenti riguardano l'esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro, e non, invece, quando riguardano la tutela di beni estranei al rapporto stesso.
In sostanza, chiariscono i giudici, esula campo di applicazione della norma il caso in cui il datore abbia posto in essere verifiche dirette ad accertare comportamenti del prestatore illeciti e lesivi del patrimonio e
dell'immagine aziendale.