La Sezione Quinta Penale della Corte di Cassazione (sent. n. 42643/2004) ha affermato che la pubblicazione di immagini private ed allusive di un personaggio pubblico (nella specie una deputata) senza il suo esplicito consenso non rientra nel diritto di satira ma anzi, oltre a costituire un illecito civile per lesione del diritto all'immagine, può costare anche una condanna per diffamazione quando le immagini siano tali da offendere la reputazione della persona ritratta. In particolare, i Giudici del Palazzaccio hanno spiegato che in tema di diffamazione a mezzo stampa, l'offesa personale non può in alcun modo essere legittimata invocando l'esercizio della satira, la quale per essere legittima ?deve essere comunque intesa a sferzare i vizi, le abitudini e le concezioni delle persone, in quanto manifestazioni di ricorrenti debolezze umane, ovvero a disvelare l'incongruenza o il ridicolo dei valori costituiti nella cultura ufficiale, ma non può considerarsi satirico un insulto gratuito, fondato su luoghi comuni e privo di qualsiasi aggancio con la reale condotta della persona criticata, solo perché espresso in una parafrasi o in una similitudine più o meno fantasiose?. E ancora, si legge nella sentenza: ?sarebbe un ben strano concetto di democrazia quello che autorizzasse a considerare esercizio del diritto di cronaca sbirciare furtivamente tra le gambe delle donne in politica; mentre è certamente espressione di un maschilismo becero e ormai fuori tempo quello che pretende di determinare esclusivamente in termini sessuali il valore di una donna?.
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