di Valeria Zeppilli - La possibilità per i lavoratori di assentarsi dal lavoro nel caso in cui essi siano colti da malattia è un diritto che il nostro ordinamento tutela in maniera assoluta.
Tuttavia, come noto, tale diritto può essere esercitato solo se è sorretto da un certificato medico che attesti l'effettivo stato di salute del dipendente.
A tal proposito è interessante sottolineare che spesso accade che la durata della prognosi che il medico indica nel primo certificato non è sufficiente per una completa guarigione, tanto che si rende necessaria la proroga del certificato stesso.
Affinché tale proroga sia legittima, tuttavia, è necessario che il sanitario si rechi personalmente a visitare il lavoratore per accertarne l'effettivo stato di salute, senza che sia possibile provvedere al prolungamento dell'efficacia del certificato sulla base di una visita soltanto "telefonica" e fondata esclusivamente su quanto riferito dal paziente.
Nonostante talvolta la questione venga presa alla leggera, in realtà ad essa ci si deve approcciare con la massima serietà: il rischio di essere sanzionati penalmente, infatti, non è così remoto.
Anzi: la giurisprudenza si è in passato occupata di tale specifica questione con la sentenza numero 18687 del 15 maggio 2012, nella quale è stata confermata la condanna di un sanitario per il reato di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati, di cui all'articolo 480 del codice penale.
Nel caso di specie non era bastato al medico sottolineare che la lavoratrice sua paziente era stata visitata appena quattro giorni prima della proroga: il fatto di aver compilato il certificato fondandosi solo sui sintomi riferiti dalla donna via telefono non ha salvato il sanitario dal dover rispondere di falso certificato.
Valigetta alla mano, quindi, ogni medico prima di firmare un certificato deve accertare che effettivamente quanto in esso riportato corrisponda a realtà.