di Valeria Zeppilli - Emettere un assegno postdatato o addirittura in bianco è una prassi purtroppo ancora diffusa: a tale strumento si fa infatti spesso ricorso per garantire un debito, con l'impegno a restituirlo qualora la relativa obbligazione sia adempiuta. Si tratta, tuttavia, di un comportamento contrario alle norme imperative di cui agli articoli 1 e 2 del regio decreto numero 1736 del 21 dicembre 1933.
Più in particolare, come sottolineato dalla Corte di cassazione con la sentenza numero 10710 del 24 maggio 2016 (qui sotto allegata), in simili ipotesi va dichiarato nullo il patto di garanzia e sussistente la promessa di pagamento di cui all'articolo 1988 del codice civile.
Infatti la contrarietà della postdatazione a norme imperative comporta un giudizio negativo sulla meritevolezza degli interessi che con essa le parti perseguono: il riferimento va al criterio della conformità a norme imperative, all'ordine pubblico e al buon costume sancito dall'articolo 1343 del codice civile.
Sulla base di tali argomentazioni, con la sentenza dello scorso 24 maggio, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso presentatole da un uomo avverso la sentenza con la quale la Corte di appello di Palermo (confermando la decisione del Tribunale) aveva affermato che la postdatazione non rende nullo il titolo in sé ma solo la postdatazione stessa, lasciando valido il patto di garanzia e permettendo al prenditore di esigere l'immediato pagamento dell'assegno.
Il ricorrente, che si era opposto a un decreto ingiuntivo basato proprio su un assegno posdatato, può ora tirare un sospiro di sollievo: la Corte di appello deve riesaminare la questione.
Corte di cassazione testo sentenza numero 10710/2016