di Marina Crisafi - L'avvocato che esegue con "colpevole lentezza" il mandato ricevuto paga il danno per responsabilità professionale, giacchè per colpa del ritardo compromette il buon esito dell'azione. A stabilirlo è la Corte d'Appello di Milano, con la sentenza n. 4682/2015 (qui sotto allegata), condannando due legali milanesi al risarcimento di circa 33mila euro nei confronti di un cliente.
Nella vicenda, l'uomo aveva affidato ad entrambi gli avvocati l'incarico di recuperare un credito (di pari importo) da lui vantato quale corrispettivo per la cessione di un preliminare di vendita di un immobile, raccomandando proprio la "celerità" dell'iniziativa giudiziaria" per evitare il rischio della vendita dell'immobile stesso.
Ma i difensori, a seguito dell'invio al debitore di un sollecito di pagamento (siamo nel 2004) e dell'instaurazione della procedura per sequestro conservativo, abbandonavano il tutto l'anno successivo, provvedendo solo diversi mesi dopo a proporre ricorso per decreto ingiuntivo e senza chiedere la provvisoria esecuzione. Per di più, a causa dell'illeggibilità dei documenti depositati, il giudice chiedeva una nuova allegazione e i difensori vi provvedevano oltre tre mesi dopo. Così nelle more della sospensione del decreto ingiuntivo (siamo già alla fine di luglio dell'anno dopo) il debitore vendeva l'immobile pregiudicando così "irreversibilmente" il recupero del credito.
L'assistito ovviamente trascinava i propri legali in tribunale, ma in primo grado il loro comportamento veniva considerato ineccepibile.
Il cliente non ci sta e propone appello, lamentando che il tribunale ha errato nel confondere "mandato, ossia il contratto che regola il rapporto tra cliente e professionista, nella specie avente ad oggetto il recupero urgente del credito, e procura alle liti, ossia l'atto unilaterale con cui, di volta in volta, è stato conferito agli avvocati il potere di rappresentare l'atto nell'attività processuale promossa nel suo interesse secondo la tempistica da essi dettata". Ma non solo ha errato altresì, nell'escludere il colpevole ritardo.
La corte gli dà ragione e ribalta completamente la decisione. Richiamando la giurisprudenza di legittimità in materia (cfr. Cass. n. 10454/2002; Cass. n. 13963/2006), il collegio ha affermato infatti che "mentre la procura 'ad litem' costituisce un negozio unilaterale con il quale il difensore viene investito del potere di rappresentare la parte in giudizio, il mandato sostanziale costituisce un negozio bilaterale (cosiddetto contratto di patrocinio) con il quale il professionista viene incaricato secondo lo schema negoziale che è proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale in favore della parte".
Conseguentemente, ai fini della conclusione del contratto di patrocinio, "non è indispensabile il rilascio di una procura 'ad litem', essendo questa necessaria solo per lo svolgimento dell'attività processuale - e non è - richiesta la forma scritta, vigendo il principio di libertà di forma". Né può rilevare, "il versamento, anticipato o durante lo svolgimento del rapporto professionale, di un fondo spese o di un anticipo sul compenso".
Stando così le cose, dunque, è vero che il giudice delle prime cure ha errato valutando "la puntualità e diligenza nell'esecuzione del mandato in relazione al rilascio della procura ad litem per l'attività processuale di volta in volta decisa dagli odierni appellati, considerando separatamente l'attività stragiudiziale prima e le singole attività processuali poi".
Dalle circostanze documentate, dalla ricostruzione delle date e da quanto statuito dalla giurisprudenza della Cassazione, ha quindi affermato la corte meneghina, emerge che "lungi dall'agire con puntualità e diligenza, gli avvocati hanno esercitato il patrocinio non solo con negligenza, avviando la procedura cautelare senza acquisire previamente tutte le informazioni necessarie e utili al suo buon esito, ma soprattutto con colpevole lentezza", come evidenziano "i tempi morti" succedutisi tra un'iniziativa processuale e l'altra, a seguito del contratto di patrocinio.
Per cui, è proprio "in tale colpevole condotta - che - è individuabile la causa del danno lamentato". Era onere degli avvocati, infatti, una volta ricevuto l'incarico di ottenere il pagamento del credito vantato, "individuare, promuovere e adeguatamente coltivare le iniziative processuali idonee a tal fine, essendovi tutto il tempo a ciò necessario, posto che la vendita del bene è intervenuta a distanza di quasi un anno dal conferimento del mandato". Da qui la condanna di oltre 33mila euro (oltre rivalutazione e interessi) nei confronti del cliente.
Corte d'Appello di Milano, sentenza n. 4682/2015• Foto: 123rf.com