di Lucia Izzo - È nullo l'avviso di accertamento per il cui calcolo il fisco si sia affidato a fonti di cognizione non identificate, come ad esempio indagini di mercato svolte su internet, che neppure siano state precisamente indicate nel contesto della motivazione.
Non basta la circostanza dell'omessa dichiarazione a consentire all'Amministrazione di determinare purchessia l'ammontare del ricavo evaso, senza indicazione di criteri logici con ciò coerenti e di fonti di convincimento trasparenti e agevolmente consultabili anche da parte del contribuente, pena la negazione sostanziale dell'onere che comunque alla parte procedente compete di identificare fonti di prova a sostegno del criterio di liquidazione della pretesa e non semplici volizioni apodittiche.
Inoltre, è onere dell'Amministrazione, allorquando proceda d'ufficio all'accertamento del reddito d'impresa con metodo induttivo, e dovendo perciò procedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente, tenere conto anche delle componenti negative del reddito che siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, occupatasi del caso nell'ordinanza n. 11074/2016 (qui sotto allegata).
Il ricorrente aveva impugnato un avviso di accertamento IRPEF a mezzo del quale era stata recuperata a tassazione una plusvalenza realizzata per effetto del trasferimento di una "licenza taxi", cessione che, a detta dell'uomo, era avvenuta a titolo gratuito.
In realtà, la CTR aveva evidenziato che il trasferimento della licenza di esercizio di un taxi "si inserisce normalmente nell'ambito di un'operazione negoziale di trasferimento di azienda, che è, appunto, di norma onerosa"; a meno che non fossero stati dedotti, ad esempio, particolari legami (magari familiari) con il cessionario, idonei a giustificare la gratuità della cessione, avrebbe dovuto lo stesso contribuente fornire la prova contraria della usuale onerosità della cessione, ciò che non era avvenuto.
Tuttavia, ed è questo il punto su cui la Corte fonda il giudizio in favore del tassista, l'avviso di accertamento riferiva che "l'Agenzia aveva induttivamente calcolato un valore di E 150.000,00 all'esito di indagini di mercato svolte attraverso siti internet".
Una simile modalità di calcolo dell'importo della contestata plusvalenza impedisce qualsivoglia valida contestazione, non essendo contenuti nel provvedimento impugnato elementi specifici di valutazione, aspetto che confligge con la regola secondo cui gli accertamenti possono essere fondati su presunzioni gravi, precise e concordanti che, nella specie di causa apparivano assenti.
Ha dunque sbagliato il giudicante a dare per verificati i fatti rimasti ignoti, siccome asseritamente desunti da "ignote fonti attinte dal web", facendo derivare dalla semplice notorietà della onerosità della cessione di azienda anche una correlata presunzione in ordine all'ammontare del corrispettivo e sollevando l'Agenzia
ricorrente dall'onere che le incombe di fornire la specifica dimostrazione dei presupposti dell'azione amministrativa (dovendo essi consistere almeno in presunzioni gravi, precise e concordanti), non solo nell'ottica della legittimità della propria determinazione in ordine all'adozione del provvedimento impositivo ma anche in ordine alla legittimità della liquidazione dell'ammontare della pretesa che in esso è contenuta.Infatti, ribadisce la Corte, "In tema di imposte sui redditi, l'art. 42, secondo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 richiede l'indicazione nell'avviso di accertamento non soltanto degli estremi del titolo e della pretesa impositiva, ma anche dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, al fine di porre il contribuente in condizione di valutare l'opportunità di esperire l'impugnazione giudiziale e, in caso positivo, di contestare efficacemente l'an ed il quantum debeatur".
Tali elementi conoscitivi devono essere forniti non solo tempestivamente (ab origine nel provvedimento) ma anche con quel grado di determinatezza ed intelligibilità che permetta all'interessato un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa.
Pertanto, la Corte cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite.
Cass., Vi sez. civ., ord. 11074/2016• Foto: 123rf.com