di Lucia Izzo - Il giudice può limitare l'assegnazione della casa familiare ad una porzione dell'immobile, di proprietà esclusiva del genitore non collocatario, se questa situazione risulta perseguibile stante il lieve grado di conflittualità di coniugi e nell'interesse dei figli, poiché la decisione consentirebbe di conservare l'habitat domestico e la condivisione della genitorialità.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione sesta civile, nell'ordinanza n. 11783/2016 (qui sotto allegata), respingendo, tuttavia, nel caso di specie, la domanda avanzata marito per rientrare in possesso dei locali dell'abitato che gli erano stati inizialmente assegnati in primo grado.
Il ricorrente contesta la decisione che ha assegnato, a suo giudizio, automaticamente alla donna l'intera proprietà, in cui è ricompresa l'abitazione familiare, compreso il locale seminterrato, il magazzino e il garage sulla base di una conflittualità non più esistente da anni.
Tuttavia, per gli Ermellini, la decisione, è coerente con la giurisprudenza di legittimità (n. 8580/2014) secondo cui l'articolo 155-quater del codice civile, "tutela l'interesse prioritario della prole a permanere nell'habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare".
Il giudice, precisa la sentenza, può limitare l'assegnazione della casa familiare ad una porzione dell'immobile, di proprietà esclusiva del genitore non collocatario, anche nell'ipotesi di pregressa destinazione a casa familiare dell'intero fabbricato, ove tale soluzione, esperibile in relazione al lieve grado di conflittualità coniugale, agevoli in concreto la condivisione della genitorialità e la conservazione dell'habitat domestico dei figli minori.
Tuttavia, chiarisce il Collegio, "la decisione sulla possibilità di assegnare una parte limitata dell'immobile è affidata alla valutazione discrezionale del giudice che dovrà valutare il grado di conflittualità esistente e la rispondenza della assegnazione parziale al genitore non affidatario all'interesse dei minori".
Nel caso esaminato, la Corte di appello ha già effettuato una simile valutazione, dandone ampiamente conto nella motivazione.
Accolto, invece, il ricorso incidentale della moglie teso all'eliminazione delle modalità con cui il Tribunale aveva regolato il diritto di visita e di frequentazione delle figlie minori da parte del padre: per la donna, il giudice d'appello avrebbe omesso di valutare l'esistenza di un procedimento penale a carico dell'uomo per gravi fatti in danno ai figli, oggi maggiorenni, commessi quando avevano un'eta inferiore a 10 anni.
Il giudice, prosegue la controricorrente, non avrebbe neppure tenuto conto della descrizione fornita dal C.T.U. che aveva definito l'ex persona "incapace di controllare le proprie componenti pulsionali di tipo aggressivo e tale da essere qualificato come disturbo della personalità".
Per la Cassazione il motivo è fondato: benché la sentenza abbia menzionato le gravi azioni di cui il padre risulta accusato e le carenze emerse dalla CTU e dalle relazioni dei servizi sociali, ha poi fatto seguire una decisione fondata su una motivazione meramente apparente.
Infatti, secondo la Corte distrettuale, il lungo tempo trascorso, l'età delle figlie, la mancata prospettazione di elementi pregiudizievoli derivanti dagli incontri con il padre giustificherebbero la eliminazione delle misure di protezione, nonostante poi, osserva la Cassazione, venga poi contestualmente affidato al Servizio sociale un costante monitoraggio e un progetto di recupero della relazione fra il padre e le figlie.
Pertanto, gli Ermellini rinviano alla Corte distrettuale per compiere una rivalutazione circa l'attualità delle condizioni per l'esercizio del diritto di visita e di frequentazione delle minori.
Cass., Vi civ., ord. 11783/2016