Va cassata la sentenza della Corte di Appello di Venezia che, sulla base di un incensurato apprezzamento di fatto, ha ritenuto la scelta del coniuge di appartenere ad una confessione religiosa una ragione non valida per porre l'addebito della separazione a carico dello stesso, avendo quest'ultimo, in tal modo, "esercitato un diritto costituzionalmente garantito". Secondo i Giudici del Palazzaccio (Sent. n. 15241/2004) la Corte territoriale è incorsa in violazione di legge laddove ha affermato che "il comportamento di un coniuge, consistente nel mutamento di fede religiosa e nella partecipazione alle pratiche collettive del nuovo culto, si connette all'esercizio dei diritti garantiti dall'articolo 19 della Costituzione e, nonostante la sua inevitabile incidenza sull'armonia della coppia, non può essere considerato come ragione di addebito della separazione "se ed in quanto" non superi i limiti di compatibilità con i concorrenti doveri di coniuge e di genitore fissati dagli articoli 143 e 147 c.c. e non determini, quindi, con la violazione di tali doveri (come appunto quello della coabitazione di cui al secondo comma del richiamato articolo 143), una situazione di improseguibilità della convivenza o di grave pregiudizio per la prole".
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