di Lucia Izzo - Il proprietario-locatore di un bene pignorato non è legittimato a esercitare le azioni derivanti dal contratto di locazione concluso senza l'autorizzazione del giudice dell'esecuzione, ivi compresa quella di pagamento dei canoni, poiché la titolarità di tali azioni non è correlata ad un titolo convenzionale o unilaterale (il contratto di locazione o la proprietà), ma spetta al custode, in ragione dei poteri di gestione e amministrazione a lui attribuiti e della relazione qualificata con il bene pignorato derivante dall'investitura del giudice.
Lo ha rammentato la Corte di Cassazione, terza sezione civile, nella sentenza n. 13216/2016 (qui sotto allegata) che ha accolto il ricorso di un conduttore contro l'ingiunzione di pagamento di canoni arretrati, afferenti l'immobile a lui locato in data successiva al pignoramento dello stesso ed in difetto della prescritta autorizzazione dei giudice dell'esecuzione.
La decisione impugnata della Corte d'Appello, riformando la precedente pronuncia del Tribuale, aveva rigettato l'opposizione promossa dal conduttore ritenendo che il contratto di locazione stipulato tra le parti, pur se opponibile ai creditori pignoranti e alla procedura esecutiva, era pienamente efficace e vincolante nei rapporti tra conduttore e locatore, sicchè sussisteva il diritto al pagamento dei canoni.
In sede di legittimità il ricorrente/conduttore contesta questo assunto richiamando il divieto sancito dall'art. 560 c.p.c di locare l'immobile pignorato senza l'autorizzazione del giudice dell'esecuzione, nonché la violazione dell'art. 2912 c.c., il quale prevede che il pignoramento comprende anche i frutti (nella specie, i canoni di locazione) della cosa pignorata.
La ricostruzione trova il supporto degli Ermellini, i quali evidenziano che, per effetto dello spossessamento conseguente al pignoramento e dell'effetto estensivo previsto dall'articolo 2912 c.c., il debitore esecutato perde il diritto di gestire e amministrare (se non in quanto custode) il bene pignorato, ed anche il diritto di far propri i relativi frutti civili.
Ciò in conformità dell'indirizzo giurisprudenziale secondo cui, anche se la locazione di un bene sottoposto a pignoramento senza l'autorizzazione del giudice dell'esecuzione, in violazione dell'articolo 560 c.p.c., non comporta l'invalidità del contratto, ma solo la sua inopponibilità ai creditori ed all'assegnatario. Il contratto così concluso non pertiene al locatore-proprietario esecutato, ma al locatore-custode e le azioni che da esso scaturiscono (nella specie per il pagamento dei canoni) devono essere esercitate, anche in caso di locazione non autorizzata, dal custode
Altro orientamento, richiamato in sentenza, rammenta che dopo il pignoramento, il locatore-proprietario e debitore perde la legittimazione sostanziale sia a richiedere al locatario il pagamento dei canoni sia per ogni altra azione, perché ex art. 559 c.p.c., pur permanendo l'identità del soggetto, muta il titolo del possesso da parte sua, in quanto ogni sua attività costituisce conseguenza del potere di amministrazione e gestione del bene pignorato, di cui egli continua ad avere il possesso come organo ausiliario del giudice dell'esecuzione.
Ciò per la semplice ragione che il bene è a lui sottratto per tutelare le ragioni creditorie del terzo, il quale con il pignoramento mostra tutto l'interesse di vedere soddisfatto il suo credito e non vedersi sottratte le somme ricavate.
Alla luce dell'indirizzo giurisprudenziale richiamato, il ricorso deve essere quindi accolto.
Cass., III sez. civ., sent. n. 13216/2016• Foto: 123rf.com