Avv. Mirella Marchione - Nota di commento alla interessante pronuncia del 02.02.16, n. 147 del Tribunale di Cassino, Giudice Unico Dott.ssa Irene Sandulli, in tema di mediazione immobiliare.
Il fatto: un intraprendente mediatore propone in vendita ad una impresa edile l'acquisto di un terreno, garantendo specificatamente che il bene permetterà l'edificazione di un certo numero di villette, precisando nel dettaglio la cubatura sfruttabile.
L'impresa avvia le trattative per l'acquisto e paga il mediatore, nella misura pattuita. Tuttavia, all'esito delle opportune verifiche, si scopre che non sarà possibile edificare il numero di appartamenti garantito dal mediatore ma un numero sensibilmente inferiore, a causa di un vincolo di destinazione impresso su una parte del fondo, sottaciuta dal professionista.
Le trattative si risolvono bonariamente e senza perdite, per fortuna dell'impresa. Tuttavia, si ricorre al Tribunale per la ripetizione della provvigione versata alla società di mediazione immobiliare, nonché, per il ristoro delle perdite e dei danni subiti, nella misura delle spese vive sostenute per l'affare proposto, documentate. La società convenuta è rimasta contumace.
La soluzione, rigorosa nella sua logica e chiara nell'esposizione: il rapporto va qualificato come di mediazione "tipica"; la diligenza richiesta all'operatore professionale è di tipo qualificato e consiste non solo in un facere (ovvero, mettere utilmente in contatto le parti ed attivarsi per la positiva conclusione dell'affare) ma anche in un obbligo di astensione.
Infatti, sebbene non sia compito del mediatore procedere ad indagini tecniche specifiche, tuttavia il professionista non può "vantare" presso il potenziale acquirente qualità che il bene non ha o ragionevolmente, non è certo che abbia. In tal caso, se la colpa del fallimento delle trattative è imputabile ad una negligenza di chi si è assunto l'incarico di condurle, perché appunto ha cercato di "vendere" qualcosa che non c'è, sfuma anche il diritto alla provvigione.
La sentenza in questione, argomentando dallo stato dell'arte della giurisprudenza di legittimità e da quanto emerso in corso di causa, delimita quindi con precisione gli ambiti del diritto alla provvigione posti dall'art. 1755 c.c., il tipo di prestazione che va remunerata al mediatore e soprattutto, il grado di diligenza richiesto allo stesso.
Non basta perciò mettere in contatto il potenziale acquirente e compratore ma va osservato un margine di diligenza specifica nelle trattative, fino alla conclusione positiva delle stesse.
Posto che appare consolidato nella giurisprudenza di merito e di legittimità (vedi anche Law in Action del 03.05.14) il principio per cui il diritto alla provvigione sorge solo se si stipula quantomeno un preliminare vincolante per le parti messe in contatto dal mediatore, va rilevato che la pronuncia in esame compie un piccolo passo avanti (estremamente utile a noi poveri avvocati) nella tipizzazione della condotta del mediatore, rilevante ai fini del pagamento della provvigione, che viene così declinata in due aspetti: uno positivo, dato dall'attività di concreta mediazione e dal compimento di verifiche tecniche quantomeno "minime" sulle caratteristiche essenziali del bene promesso in vendita; l'altro negativo, di astensione dal promettere qualità di cui non si è certi.
La pronuncia si chiude con un sostanziale ammonimento: non è il caso di far passare come danni esborsi sostenuti per proprio profitto, anche se questo è sfumato per fatto di altri.
Cliente avvisato … avvocato salvato.
Non solo: le spese seguono la soccombenza ma gli onorari vanno ridotti se la "mole di lavoro" richiesta dal caso di specie è ridimensionata dalla contumacia del convenuto.
Avv. Mirella Marchione
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Sentenza Tribunale Cassino 147/2016