Le troppe ore trascorse sui social durante l'orario di lavoro legittimano l'espulsione del lavoratore

di Lucia Izzo - È legittimo il licenziamento del lavoratore che trascorre troppo tempo su Facebook e il datore di lavoro può provare gli accessi al web del dipendente controllando la cronologia del suo computer.


Lo ha stabilito il Tribunale di Brescia, nella sentenza n. 782/2016 con cui ha rigettato l'opposizione ex art. 1, comma 51, legge n. 92/2012, avanzata da una dipendente avverso l'ordinanza con cui il Tribunale aveva respinto la domanda con cui la stessa contestava la legittimità del proprio licenziamento.


In particolare, sottolinea la ricorrente, il datore di lavoro le aveva contestato di aver utilizzato il computer aziendale a fini privati e la donna non solo ritiene che il provvedimento sia illegittimo poichè privo di giusta causa, ma anche ritorsivo essendo intervenuto dopo che la dipendente aveva richiesto il godimento dei benefici di cui alla legge 104/1992 per recare assistenza alla madre.


Inutile per la dipendente lamentare la violazione della privacy, avendo il datore esaminato il suo computer per provare l'accesso continuo ad internet.

Il Tribunale, dopo aver evidenziato la mancanza di prova del presunto carattere ritorsivo del licenziamento, ha sottolineato la validità della cronologia degli accessi ad internet che il datore di lavoro si era limitato semplicemente a stampare: un simile comportamento non richiede l'installazione di alcun dispositivo di controllo e non viola la privacy della dipendente poichè il datore si è limitato a consultare dati che vengono registrati da qualsiasi computer e che sono stati stampati al solo fine di verificare l'utilizzo di uno strumento messo a disposizione dal datore di lavoro per l'esecuzione della prestazione.

Deve quindi escludersi la violazione dell'art. 4 della legge n. 300/1970, trattandosi di attività di controllo non della produttività ed efficienza nello svolgimento dell'attività lavorativa, ma attinenti a condotte estranee alla prestazione.


Nonostante la dipendente sostenga di essere stata autorizzata dallo stesso datore di lavoro ad utilizzare internet liberamente, in special modo nei tempi morti, il giudice sottolinea che la condotta della stessa "appare senza dubbio grave se si tiene conto che si tratta di circa 6.000 accessi in 18 mesi, di cui 4.500 circa a facebook, effettuati durante l'orario di lavoro, pari a circa 16 accessi al giorno (secondo i calcoli della stessa ricorrente) su tre ore in media di lavoro"

Un comportamento, precisa il giudice del lavoro, idoneo ad incrinare la fiducia del datore di lavoro, avendo la ricorrente costantemente e per lungo tempo sottratto ore alla prestazione lavorativa ed utilizzato impropriamente lo strumento di lavoro, approfittando del fatto che il datore di lavoro non la sottoponesse a rigidi controlli,



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