Avv. Francesco Pandolfi - Lo Stato italiano, con la scusa della Legge di Stabilità 2016 e dell'esigenza di razionalizzare i costi conseguenti alla violazione del termine di ragionevole durata del processo, ha innovato anche la Legge Pinto creando una varietà di sistemi e procedure per ostacolare di fatto l'accesso all'equa riparazione.
Per fortuna che La Corte Europea vigila sull'impianto normativo così delineato e, a proposito del fenomeno dell'eccessiva durata dei processi amministrativi, giunge a ritenere contrario al diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva la previsione di un'istanza che si presenti acceleratoria solo sulla carta.
S tratta dell'istanza di prelievo.
Il n. 3 dell'art. 777 della citata legge si rivolge espressamente al giudizi innanzi la magistratura amministrativa, dove costituirebbe rimedio preventivo la presentazione dell'istanza di prelievo ex art. 71 comma 2 c.p.a., di cui al decreto legislativo n. 104/10, almeno 6 mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all'art. 2 comma 2 bis.
Stando alla ratio della Legge di Stabilità, il "rimedio" non è altro che uno strumento di facilitazione per arrivare ad una sollecita trattazione e definizione della causa.
Ma sarà veramente cosi?
Non sembra: per lo meno la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, in occasione del giudizio in commento (n. 22994/2016) ha manifestato forti perplessità sul modus operandi del legislatore nazionale, il quale si è cimentato nella delicata questione dei processi lumaca con l'intento di tagliare le gambe a tutti indiscriminatamente (scrivendo sull'incipit della Legge che l'intervento è necessario per "razionalizzare i costi"....), senza però soppesare adeguatamente la natura giuridica dei rimedi che esso stesso ha introdotto.
L'istanza di prelievo e la presunta funzione acceleratoria
Il motivo per cui la Corte sovranazionale ritiene che l'Italia sbagli sul punto è semplice: la procedura che impone l'istanza di prelievo e di fatto lascia al Presidente del Tribunale la discrezionalità nell'accelerare il procedimento non si può seriamente considerare come "rimedio acceleratorio".
In altri termini, elaborando l'acuto pensiero della CEDU bisognerebbe suggerire al legislatore di guardare più alla sostanza che alla (pur necessaria) forma, conferendo il corretto significato e la corretta funzione ai rimedi introdotti per fronteggiare la voragine economica (la massa di indennizzi per equa riparazione) nata dalla patologica disfunzione della macchina giustizia italiana.
In pratica: come tutelare il diritto alla giurisdizione effettiva in ambito amministrativo?
Trovandosi in una situazione simile a quella descritta, rivendicare nel ricorso CEDU che la funzione dell'istanza di prelievo non è affatto accelleratoria, siccome la sua valutazione è rimessa alla discrezionalità del Giudicante.
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