di Lucia Izzo - Il reato di violenza privata, ai sensi dell'art. 610 c.p., si configura quando chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa. Una definizione codicistica idonea ad abbracciare numerose fattispecie in cui la parte offesa venga privata della facoltà di autodeterminarsi spontaneamente. Si vuole, pertanto, tutelare la libertà psichica della persona dagli atteggiamenti violenti e intimidatori idonei a coartare, direttamente o indirettamente, la sua libertà di volere o di agire.
Non sorprende che molti episodi che alimentano la casistica giurisprudenziale, originino dalla vita di coppia dove la relazione sconfina nella prevaricazione di uno dei partner nei confronti dell'altro, come avvenuto ad esempio, nei confronti di chi abbia cacciato il coniuge di casa (cfr: Cassazione: Cacciare il coniuge da casa è reato. Si tratta di violenza privata), di chi abbia impedito alla ex di chiudere la porta (cfr: Cassazione: è violenza privata impedire alla ex di chiudere la porta), oppure costretto il partner a tagliarsi i capelli.
Infatti, anche costringere ad un taglio non desiderato è reato, lo ha stabilito la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 10413/2013 che ha confermato la condanna per violenza privata ad un uomo, carabiniere genovese, accusato di aver fatto tagliare i capelli alla moglie contro la sua volontà dopo aver appreso di un presunto tradimento di lei.
Il reato di violenza privata aggravata, commesso per gelosia, era avvenuto in quanto in danno alla moglie il carabiniere aveva imposto, brandendo le forbici, di subire il taglio dei capelli: a nulla serve per la difesa eccepire che i fatti accertati dovessero integrare separatamente, il reato di ingiuria (quanto al taglio dei capelli inflitto per umiliare) ed il reato di minacce (quanto alla minaccia di sfregio con l'uso delle forbici) attese le diverse causali accertate.
Tale assunto non scalfisce la ricostruzione della vicenda di cui ha dato atto, con dovizia di particolari, la sentenza impugnata: il fatto è stato narrato dalla persona offesa col conforto delle dichiarazioni di ulteriori testi, a proposito della condotta dell'imputato consistita nel minacciarla con le forbici e nell'imporle, per gelosia, il taglio dei capelli.
Tale condotta, evidenziano gli Ermellini, correttamente è stata ritenuta inquadrata nella cornice normativa dell'articolo 610 c.p., norma che si differenzia del tutto da quella di ingiuria invocata dal ricorrente in quanto punisce non già il mero atto di umiliazione della persona offesa, ma quello posto in essere facendo ricorso alla violenza o alla minaccia, estrinsecatosi nella imposizione di un comportamento o di una omissione in violazione della libertà morale.
Con ciò, si distingue anche dal delitto di minaccia il quale perimetra un'area di illecito più ampia, rispetto alla quale risulta speciale quella, più ristretta, prevista dal delitto di cui all'articolo 610 e consistente non già nella mera prospettazione del male ingiusto, ma nella utilizzazione di tale prospettazione per costringere altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa.
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