Ne discende che, secondo il principio del neminem laedere, chi cagiona ad un terzo un danno ingiusto è tenuto a risarcirlo e che il presupposto della risarcibilità risiede proprio nella "ingiustizia" del danno.
Ma quando il nocumento cagionato presenta le caratteristiche dell'ingiustizia? Per danno ingiusto deve intendersi il danno prodotto non iure e contra ius, ossia il danno che determina la lesione di un interesse - non necessariamente patrimoniale - meritevole di tutela secondo l'ordinamento giuridico.
Questa affermazione, oggigiorno considerata pacifica, è il frutto di un'evoluzione dottrinale e giurisprudenziale che ha condotto ad un progressivo ampliamento delle maglie del concetto di danno ingiusto.
Secondo l'impostazione tradizionale, il danno ingiusto si sostanziava esclusivamente nella violazione di un diritto soggettivo assoluto, cioè in una condotta lesiva di un diritto della personalità, di un diritto reale o di alcuni diritti concernenti i rapporti di famiglia.
L'area della risarcibilità è stata, successivamente, estesa includendovi non solo i diritti assoluti, ma anche i diritti di credito. Da ultimo, è stato riconosciuto all'articolo 2043 c.c. il carattere di norma primaria, con la conseguente risarcibilità degli interessi legittimi, vale a dire di quelle situazioni soggettive che non possono essere ascritte nell'alveo dei diritti soggettivi.
In definitiva, ai fini della qualificazione del danno come ingiusto, la lesione di un interesse legittimo -così come di quella di un diritto soggettivo o di un altro interesse giuridicamente rilevante- rientra nell'ambito di operatività del principio del neminem ledere.
Vai alla guida completa sulla responsabilità extracontrattuale