di Lucia Izzo - Niente sfruttamento della prostituzione se l'imputato si fa consegnare denaro da un terzo per procurargli incontri sessuali con una donna, ma questa sia ignara delle richieste economiche effettuate dal partner.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, terza sezione penale, nella sentenza n. 28196/2016 (qui sotto allegata). Sul ricorrente gravano numerose quanto gravi imputazioni, ossia estorsione, furto, appropriazione indebita, pornografia minorile, ricettazione e sfruttamento della prostituzione. La responsabilità dell'uomo è stata affermata sia in primo che in secondo grado, nonostante un diverso trattamento sanzionatorio, e, in sede di legittimità, l'imputato chiede, tra l'altro che sia cancellata la condanna per lenocinio in quanto mancherebbero gli elementi costituivi del reato.
Per gli Ermellini, limitatamente a tale reato, le doglianze attoree sono fondate: dalla ricostruzione operata dalla sentenza, l'uomo era stato chiamato a rispondere del delitto di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione relativamente ad una donna che intratteneva con lui rapporti abituali e partecipava ad incontri sessuali con terze persone organizzati dall'uomo, tramite una chat line, anche dietro compenso di denaro.
La Corte di merito ha ritenuto sussistente la fattispecie contestata, escludendo, a ragione, la necessità che per l'integrazione del delitto in parola sia necessaria l'abitualità, ben potendo il delitto essere circoscritto ad un solo episodio (anche se, nel caso di specie, gli episodi sono stati due intervallati nel tempo e caratterizzati da una condotta con modalità analoghe).
Secondo quanto affermato dalla Corte territoriale, ferma restando l'irrilevanza che i soggetti coinvolti fossero persone adulte e consenzienti (essendo ben possibile uno sfruttamento della prostituzione di una donna consenziente), era da escludere che la donna fosse consapevole che il partner chiedesse denaro ai due interlocutori contrattati via chat.
Per gli Ermellini, tuttavia, non può essere condivisa l'affermazione della Corte territoriale che ha ritenuto sussistente il reato in quanto l'imputato aveva chiesto soldi non solo per sé, ma anche per la donna che avrebbe dovuto partecipare agli incontri "a tre", sfruttando economicamente la disponibilità della ragazza ad eseguire prestazioni sessuali "particolari", partecipando ad incontri a pagamento il cui profitto è stato poi da lui trattenuto.
Per gli Ermellini, la corresponsione di denaro da parte di un terzo ad opera di un soggetto che gli offra l'opportunità di avere rapporti sessuali con una donna non prostituta e che sia, come nel caso di specie, inconsapevole di essere sfruttata, non costituisce sfruttamento della altrui prostituzione.
L'atto sessuale, precisa il Collegio, diventa atto di prostituzione solo in presenza dell'elemento retributivo, "quando cioè il soggetto che fornisce la prestazione sessuale assegna alla dazione del proprio corpo, per il soddisfacimento dell'altrui libidine, una funzione strumentale alla percezione di una utilità, in genere economica, che potrebbe essere corrisposta dall'utente anche direttamente ad un terzo, ma sempre con l'accordo o quanto meno la consapevolezza dell'erogatore della prestazione"
Ciò non toglie, conclude la Corte, che, esclusa l'ipotesi di sfruttamento, possa configurarsi, se ne ricorrono le condizioni, quella di induzione alla prostituzione (art. 3, n. 5 , L. 75/58) la quale punisce la condotta di chiunque induca alla prostituzione una donna di età maggiore, o compia atti di lenocinio, sia personalmente in luoghi pubblici o aperti al pubblico, sia a mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità.