di Lucia Izzo - Viene meno la presunzione legale nelle indagini bancarie per i professionisti sia per quanto riguarda i prelevamenti che i versamenti.
Lo ha disposto la Corte di Cassazione, sezione Tributaria, nella sentenza n. 16440/2016 (qui sotto allegata), pronunciandosi sulla vicenda di un professore ordinario all'Università, esercente anche la professione di avvocato, oggetto di un avviso di accertamento di maggiori imposte ai fini IRPEF, IRAP, IVA dovute per l'anno 2005.
L'Amministrazione finanziaria aveva acquisito i dati relativi alle movimentazioni bancarie effettuate sui conti correnti intestati al contribuente e, quindi, ritenendo che alcuni movimenti, sia in uscita che in entrata, non trovassero adeguata giustificazione nei redditi dichiarati per l'anno di imposta 2005, applicata la presunzione di cui all'art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, provvedeva al loro recupero a tassazione, anche ai fini IVA (trattandosi di compensi del lavoro autonomo di avvocato svolto dal contribuente), assoggettabili ad imposizione ai sensi del d.P.R. n. 633 del 1972, artt. 53 e 54, notificando l'avviso di accertamento poi impugnato.
La fattispecie inerisce alla previsione di legge che consente all'Agenzia delle Entrate di poter rettificare il reddito di quei contribuenti che non sono in grado di giustificare i movimenti sui propri conti correnti, "presumendo" che questi nascondano operazioni in nero tese ad evadere il fisco. Se il contribuente non è in grado di giustificare adeguatamente per quale scopo ha utilizzato la somma da lui prelevata, l'Amministrazione Finanziaria è lggittimata a ritenere che la finalità sottesa possa essere un investimento dal quale sia scaturito un ulteriore reddito ed attivare l'accertamento fiscale.
Tuttavia, rammenta la Corte Costituzionale, in materia è intervenuta la sentenza 24 settembre 2014, n. 228, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della disposizione, ritenendo che la presunzione posta dalla citata norma con riferimento ai compensi percepiti dai lavoratori autonomi fosse "lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell'ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito".
In sostanza è definitivamente venuta meno la presunzione di imputazione sia dei prelevamenti sia dei versamenti operati sui conti correnti bancari ai ricavi conseguiti nella propria attività dal lavoratore autonomo o anche dal professionista intellettuale, che la citata disposizione poneva. Si sposta, quindi, sull'Amministrazione finanziaria l'onere di provare che i prelevamenti ingiustificati dal conto corrente bancario e non annotati nelle scritture contabili, siano stati utilizzati dal libero professionista per acquisti inerenti alla produzione del reddito, conseguendone dei ricavi, e che i versamenti (pure essi non risultanti dalla scritture contabili) corrispondano, invece, ad importi riscossi nell'ambito dell'attività professionale.
A differenza della Corte Costituzionale, che si era ritenuto avesse fatto riferimento solo ai prelevamenti, con questa importante pronuncia la Cassazione ha precisato che la presunzione legale delle indagini bancarie per i professionisti è venuta meno anche per i versamenti.
Nel caso di specie la sentenza che aveva confermato l'accertamento a carico del contribuente è cassata: la Commissione Tributaria dovrà riesaminare il merito della vicenda processuale alla stregua della pronuncia della Corte costituzionale verificando, in particolare, la rilevanza reddituale dei movimenti bancari non contabilizzati, oggetto di accertamento.
Cass., V sez. civ., sent. n. 16440/2016