- Cos'è la legge Pinto
- La ragionevole durata del processo
- I rimedi preventivi
- Il ricorso ex legge Pinto
- Il giudizio per equa riparazione
- Opposizione
- Misura dell'indennizzo
- Testo della legge Pinto e modulistica
Cos'è la legge Pinto
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La legge Pinto n. 89/2001 tutela i cittadini dalla durata eccessiva dei processi, riconoscendo a coloro che hanno dovuto affrontare un processo troppo lungo la possibilità di richiedere una equa riparazione dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.
Finalità della legge
Trattasi di un istituto che prevede una riparazione di natura indennitaria, che pone a carico dello Stato un'obbligazione ex lege, con la finalità di combattere il fenomeno, assai diffuso in Italia, della lunghezza eccessiva dei processi.
La legge Pinto ha il pregio di aver introdotto nel nostro ordinamento un procedimento finalizzato a porre rimedio alla durata eccessiva dei processi, in violazione dell'art. 6 della CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo) e dell'art. 111 della nostra Costituzione, che sancisce il principio della "ragionevole durata del processo."
Riparazione anche per la violazione dei termini legge Pinto
Ragionevole durata, che a livello comunitario e nazionale, riguarda anche il procedimento di equa riparazione per irragionevole durata del processo. Lo stesso giudizio infatti non dovrebbe durare più di due anni, tanto che, come affermato dalle SSUU n. 6312/2014, se anche questo termine viene violato, il ricorrente può promuovere un nuovo giudizio per chiedere l'indennizzo derivante dalla violazione della ragionevole durata della stessa legge Pinto.
La ragionevole durata del processo
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Premesso che la legge Pinto trova applicazione in caso di violazione dei termini di durata dei procedimenti civili, penali, amministrativi, fallimentari e tributari (esclusi i procedimenti che si tengono di fronte a organismi di giustizia privata), cosa si intende in concreto per durata ragionevole di un processo?
- Per il primo grado di giudizio si reputano ragionevoli tre anni, per il secondo grado due anni e per il grado di legittimità un anno.
- Per quanto riguarda i processi esecutivi il termine ragionevole di durata è di tre anni (la durata riguarda il solo processo esecutivo, escluso quello di cognizione che lo precede), mentre per le procedure concorsuali di sei anni.
Il termine ragionevole si ritiene in ogni caso rispettato se il giudizio definitivo e irrevocabile giunge nel termine massimo di sei anni.
Computo della durata
Per computare la durata occorre fare riferimento a criteri differenti a seconda che il processo sia di natura civile o penale.
Nei processi civili, il termine decorre dal deposito del ricorso introduttivo o dalla notifica dell'atto di citazione. Nei procedimenti di esecuzione forzata il termine decorre dal pignoramento (art. 491 c.p.c).
Nei processi penali, invece, il termine decorre da quando l'indagato viene a conoscenza del procedimento penale a suo carico mediante un atto dell'autorità giudiziaria.
A tal proposito si segnala che è stata la Corte costituzionale che, con sentenza numero 184 del 23 luglio 2015, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 2-bis, della legge Pinto nella parte in cui prevedeva che potesse essere considerato termine iniziale per il computo della durata ragionevole del processo penale l'assunzione della qualità di imputato o il momento in cui l'indagato ha avuto legale conoscenza della chiusura delle indagini preliminari.
Nel termine non deve essere computato il periodo di sospensione del processo e quello che intercorre tra il giorno in cui inizia a decorrere il termine per proporre l'impugnazione e quello di proposizione della stessa.
I rimedi preventivi
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A partire dal 31 ottobre 2016, la procedura prevista dalla legge Pinto può essere attivata, a pena di inammissibilità della domanda, solo dopo aver esperito i cd. "rimedi preventivi".
I rimedi non sono sempre gli stessi, essi variano a seconda della tipologia del processo.
In particolare, nel processo civile il rimedio preventivo è rappresentato dalla proposizione del giudizio con rito sommario o dalla richiesta di passaggio dal rito ordinario al rito sommario fatta entro l'udienza di trattazione e, in ogni caso, almeno sei mesi prima che siano trascorsi i tre anni del primo grado di giudizio.
Ove non sia possibile il rito sommario di cognizione, anche in secondo grado, il rimedio preventivo è rappresentato dalla richiesta di decisione a seguito di trattazione orale ai sensi dell'articolo 281-sexies c.p.c. da farsi sei mesi prima che spiri il termine di ragionevole durata del processo e anche se la competenza è quella collegiale del Tribunale.
Nel processo penale il rimedio preventivo è rappresentato da un'istanza di accelerazione da farsi almeno sei mesi prima della scadenza del termine di durata ragionevole.
Nel processo amministrativo il rimedio preventivo è rappresentato da un'istanza di prelievo con la quale segnalare l'urgenza del ricorso.
Nei processi contabili e pensionistici davanti alla Corte dei conti e alla Corte di cassazione, infine, il rimedio preventivo è rappresentato da un'istanza di accelerazione presentata, rispettivamente, almeno sei mesi o almeno due mesi prima della scadenza del termine di ragionevole durata.
Il ricorso ex legge Pinto
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Il ricorso, ai sensi della legge Pinto, va presentato dalla persona che ha subito il danno assistita da un legale munito di procura speciale con ricorso al Presidente della Corte d'appello del distretto in cui ha la sede il giudice innanzi al quale si è svolto il primo grado del processo contestato.
A pena di decadenza, il termine per provvedervi è di sei mesi dal momento in cui è divenuta definitiva la decisione che ha concluso il procedimento.
La controparte è il Ministro della giustizia se il procedimento presupposto è un procedimento ordinario, il Ministro della difesa se il procedimento presupposto è un procedimento militare e il Ministro dell'economia e delle finanze in tutti gli altri casi.
Al ricorso vanno sempre allegati, in copia autentica, l'atto di citazione, il ricorso, le comparse e le memorie relativi al procedimento presupposto, i relativi verbali di causa e provvedimenti del giudice e il provvedimento che ha definito il giudizio, se si tratta di sentenza od ordinanza irrevocabili.
La sentenza numero 88/2018 della Corte costituzionale
Abbiamo detto che il termine massimo per proporre ricorso ai sensi della legge Pinto è di sei mesi dal momento in cui è divenuta definitiva la decisione con la quale il procedimento accusato di eccessiva durata si è concluso.
Tuttavia, a seguito di una recente sentenza della Corte Costituzionale, è comunque possibile proporre il predetto ricorso anche prima della chiusura definitiva del procedimento.
Infatti la Consulta, con sentenza 21 marzo - 26 aprile 2018, numero 88, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della legge Pinto "nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione possa essere proposta in pendenza del procedimento presupposto".
Il giudizio per equa riparazione
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Per avviare il procedimento per l'equa riparazione è necessario che il termine di ragionevole durata del processo sia stato violato, che dallo stesso sia derivato un danno di natura patrimoniale o non patrimoniale, che tra violazione e danno vi sia un nesso di causa e che il soggetto, come precisato sopra, abbia esperito i rimedi preventivi richiesti dalla legge a pena di inammissibilità della domanda.
Presentato il ricorso di equa riparazione, il Presidente della Corte d'appello o un magistrato designato a tal fine vi provvede entro trenta giorni con decreto esecutivo motivato.
Si tratta, quindi, di un giudizio monocratico, che si svolge senza udienza.
Se il ricorso è accolto, il giudice ingiunge al Ministero convenuto di pagare la somma liquidata senza dilazione e autorizza la provvisoria esecuzione. Con il medesimo decreto vengono anche liquidate le spese ed è ingiunto il loro pagamento.
A questo punto sarà cura della parte, a pena di inefficacia del decreto senza possibilità di riproporre la domanda, di notificare al Ministero della giustizia sia il ricorso che il decreto entro trenta giorni dal deposito del provvedimento in cancelleria.
Se, invece, il ricorso è respinto, il ricorrente non potrà più riproporlo, anche se potrà opporsi alla decisione, come vedremo.
A tal proposito si segnala che con la legge di Stabilità si è previsto che l'indennizzo non possa essere accordato alla parte che nel processo presupposto è stata condannata per lite temeraria o che risulti comunque consapevole dell'infondatezza originaria o sopravvenuta della sua posizione.
Inoltre sono state introdotte alcune ipotesi di presunzione di insussistenza del danno, che obbligano la parte che intende ottenere l'equo indennizzo a dimostrare il pregiudizio subito. Si pensi, ad esempio, ai casi di irrisorietà della pretesa o del valore della causa.
Peraltro se la domanda è dichiarata inammissibile o manifestamente infondata il nostro ordinamento prevede sanzioni processuali a carico del ricorrente.
Opposizione
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In ogni caso, avverso la decisione sul ricorso, è possibile proporre opposizione dinanzi alla stessa Corte d'appello nel termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione o notificazione del relativo provvedimento.
Tale opposizione non sospende l'esecuzione del provvedimento salvo i casi in cui il collegio vi provveda con ordinanza non impugnabile per la presenza di gravi motivi.
Su di essa la Corte di appello si pronuncia con decreto entro quattro mesi dal deposito del ricorso. Il decreto è immediatamente esecutivo e impugnabile per Cassazione.
Misura dell'indennizzo
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L'indennizzo liquidato dal giudice a titolo di equa riparazione è di ammontare non inferiore a quattrocento euro e non superiore a ottocento euro per ciascun anno o frazione ultrasemestrale di anno in cui il processo ha ecceduto la durata ragionevole.
Tuttavia, è possibile prevedere in determinati casi un importo maggiore o minore che non superi, però, il valore della causa o quello del diritto accertato dal giudice se inferiore.
Nel determinare la misura dell'indennizzo ai sensi dell'art. 2056 c.c. si tiene conto dell'esito del giudizio che ha determinato la violazione della ragionevole durata, del comportamento delle parti, della natura degli interessi coinvolti, del valore e della rilevanza della causa, anche relativamente alle condizioni della parte.
Per recuperare le somme riconosciute a titolo di indennizzo, la parte creditrice può procedere con le forme dell'esecuzione forzata, ma nei limiti e con le modalità previste dall'art. 5 quinquies della legge n. 89/2001.
Modalità di pagamento
Ottenuto il riconoscimento dell'indennizzo il creditore, per ricevere il pagamento delle somme spettanti, deve rilasciare all'amministrazione debitrice una dichiarazione, ai sensi degli articoli 46 e 47 del DPR n. 445/2000, che attesti la mancata riscossione delle somme per lo stesso titolo, l'esercizio di azioni giudiziarie per lo stesso credito, la modalità di riscossione prescelta e l'importo che l'amministrazione deve ancora corrispondere.
La dichiarazione deve essere rilasciata con i modelli predisposti dal Ministero e che, per i decreti di condanna depositati dal 1 gennaio 2022, deve essere inoltrata attraverso la piattaforma informatica Pinto digitale.
Testo della legge Pinto e modulistica
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Di seguito i link per scaricare il testo della legge Pinto e i modelli necessari per ottenere il risarcimento, oltre ad una raccolta di approfondimenti, articoli e sentenze: