di Lucia Izzo - Se il proprietario del fondo dubita dell'esistenza di una servitù di passaggio a favore del fondo del vicino, può adire l'autorità giudiziaria al fine di impedirne il transito, ma, se ostacola il passaggio di questi sul proprio fondo facendosi ragione da sé, è integrato il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
E' quanto emerge da una sentenza della sezione penale della Corte d'appello di Lecce, (sent. 22 aprile 2016 n. 875 qui sotto allegata) condannando un uomo per il reato previsto dall'art. 392 del codice penale
L'imputato aveva preteso il diritto all'uso esclusivo di uno stradone carrozzabile di sua proprietà, ma gravato da servitù di passaggio in favore del fondo di proprietà del vicino: invece di ricorrere al giudice, tuttavia, aveva posto in essere condotte idonee a farsi arbitrariamente ragione da sé medesimo, in particolare impedendo al vicino l'accesso e l'uscita dallo stradone, posizionando per terra conci di tufo, dapprima di piccole dimensioni e poi di notevoli dimensioni.
Per rispondere della condanna subita in primo grado, la difesa, in sede di gravame, sostiene che difetterebbero gli elementi costitutivi del delitto: la condotta dell'imputato, infatti, non sarebbe né arbitraria, siccome posta in essere da chi era proprietario e possessore dello stradone, né violenta, non essendo stata la res danneggiata, modificata o mutata di destinazione. L'uomo, infatti, sostiene di aver acquistato il fondo a seguito di asta pubblica libero da qualsiasi onere e vincolo.
Per la Corte territoriale, tuttavia, con l'apposizione dei conci di tufo sull'area stradale, l'uomo ha inteso farsi ragione da sé, di fatto impedendo l'esercizio di una servitù di passaggio che avrebbe, invece, potuto legittimamente interdire rivolgendosi al giudice civile con un'actio negatoria servitutis.
Non vi è dubbio che tra la sua condotta e l'evento autosatisfattivo sussiste quel nesso di strumentalità richiesto dalla formulazione normativa con il termine "mediante": l'autosoddisfazione, cioè, risulta essersi concretata facendo ricorso arbitrariamente alla violenza materiale, che si ha non solo quando la cosa viene danneggiata o trasformata, ma anche quando ne è mutata la destinazione o l'utilizzazione, indipendentemente dalla sua fisica alterazione e dal verificarsi di danni materiali.
L'apposizione di pesanti conci di tufo (che il vicino è riuscito a rimuovere solo con l'aiuto di altre persone) all'evidenza impedisce di godere, in maniera concreta e permanente (se non con la rimozione dell'ostacolo ad opera della controparte), di quello stradone conformemente alla destinazione di esso propria.
Sussiste, inoltre, l'elemento psicologico del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, rappresentato dall'intento di esercitare un preteso diritto nel ragionevole convincimento della sua legittimità; e la buona fede del soggetto attivo, lungi dall'essere inconciliabile con il dolo, costituisce un presupposto necessario del reato.
Il fatto che l'imputato a tanto si sia determinato in quanto titolare di un diritto dominicale che, secondo la sua convinzione, non soffriva limitazioni, non esclude, evidentemente, la consapevolezza e la volontà di agire in forza di un preteso diritto che nessuno gli aveva riconosciuto e sul quale v'era una contesa (di fatto) tra le parti in ordine al diritto di passaggio.
Corte d'Appello Lecce, sent. 22 aprile 2016 n. 875