di Valeria Zeppilli - Per la Cassazione la malattia del lavoratore non sempre può essere validamente attestata da un certificato medico: se da elementi oggettivi emerge che la patologia è inesisente, tale certificato perde di valore.
I giudici di legittimità sono tornati su tale delicata questione con la sentenza numero 17113 depositata il 16 agosto 2016 e qui sotto allegata, chiarendo che i datori di lavoro possono contestare i certificati sanitari prodotti dai lavoratori e che possono farlo non solo con accertamenti medici contrari ma anche basandosi su elementi di fatto.
Nel caso di specie, la controversia era sorta a seguito di licenziamento comminato a un dipendente da un'azienda in ragione di una "simulazione fraudolenta dello stato di malattia", testimoniata dal compimento, da parte del lavoratore stesso, di numerose azioni e movimenti incompatibili con la dichiarata lombalgia.
Per la Corte, però, sotto tale aspetto non c'è nulla da contestare: la certificazione, infatti, perde di credibilità se sussistono elementi di fatto idonei a dimostrare che la malattia non esiste o, comunque, che essa non è in contrasto con il regolare svolgimento della prestazione lavorativa.
Con l'occasione i giudici hanno ribadito che i datori di lavoro possono legittimamente investigare, anche attraverso apposite agenzie, sulle condotte dei propri lavoratori estranee allo svolgimento dell'attività lavorativa se c'è il sospetto che tali condotte possano influenzare in maniera negativa l'adempimento della prestazione dedotta in contratto.
Pedinare il dipendente assente per malattia è possibile anche se la commissione di atti illeciti o comunque irregolari è solo sospettata.
Le agenzie, in ogni caso, operano lecitamente esclusivamente se non sconfinano nella vigilanza dell'attività lavorativa vera e propria, che l'articolo 3 dello Statuto dei lavoratori riserva direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori.
Su questi presupposti, insomma, il controllo del lavoratore mediante "007" per accertare l'effettività di una malattia (giustificato anche solo dal sospetto) non è ostacolato né dal principio di buona fede né dal divieto di cui all'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, dato che il datore di lavoro può decidere autonomamente quando e come compiere i controlli anche occulti e dato che il prestatore d'opera deve operare diligentemente per tutto il rapporto di lavoro.
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