Contratto di locazione, proprietà esclusiva, condominio e giurisprudenza

La casa, luogo di vita e di affetti. La legge da sempre tutela la proprietà in quanto tale e disciplina nel dettaglio tutti gli aspetti che legano la famiglia all'abitazione. Nel momento in cui un nucleo familiare sorge con il matrimonio sono previste tutele specifiche per proteggere i minori e la parte debole della coppia. Le famiglie di fatto, al contrario, sono state ignorate per decenni sotto questo aspetto, fino all'emanazione della legge Cirinnà n. 76 del 20.05.2016.

Coppia di fatto e contratto di locazione

In genere quando due persone decidono di andare a convivere non è difficile che decidano di fissare la residenza comune presso un appartamento in locazione. Quello che tra i due dispone di maggiori risorse economiche stipula il contratto e ne diventa in questo modo l'unico titolare. Fino a quando la coppia resta insieme e il contratto di locazione si svolge con regolarità non sorge alcun problema di natura giuridica. Solo nel momento in cui il partner titolare del contratto

muore o recede dallo stesso o la coppia si separa, la legge interviene per tutelare il componente più fragile dei due. Nel primo caso, infatti, al convivente di fatto che sopravvive o decide di restare nell'abitazione è riconosciuto il diritto di subentrare nel contratto di locazione. I conviventi di fatto inoltre godono del titolo o della preferenza nelle graduatorie per ottenere un alloggio popolare.

Coppia di fatto e proprietà esclusiva dell'immobile di abitazione

Nell'ipotesi in cui uno dei due conviventi risulta essere il proprietario esclusivo dell'immobile abitativo, la legge provvede a tutelare il partner che gli sopravvive in caso di morte. Al convivente tuttavia sono riconosciute minori garanzie rispetto a quelle spettanti al coniuge. La legge prevede che il convivente possa continuare ad abitare nell'immobile per due anni o per una durata pari al periodo di convivenza (se superiore), con il limite massimo di 5 anni. In presenza di figli minori o disabili del convivente superstite, è riconosciuto a costui il diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza

per un periodo non inferiore a tre anni (Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, sentenza n. 17971 11.09.2015). Questo diritto viene meno nel momento in cui il convivente superstite cessa di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di nuova convivenza, unione civile o matrimonio.

Coppie di fatto e condominio

Per comprendere le ripercussioni che la presenza di un convivente superstite non proprietario o separato può avere in ambito condominiale è necessario chiarire che il diritto di abitazione per il convivente sopravvissuto è un diritto reale mentre l'assegnazione al convivente separato è considerato un diritto personale di godimento. All'abitatore spetta contribuire alle spese condominiali (in solido con il proprietario), partecipare all'assemblea per nominare e revocare l'amministratore, esercitare il diritto di delega attiva e passiva, impugnare le delibere, votare per approvare il documento di bilancio, accedere agli atti del condominio e altro ancora. L'assegnatario invece non è tenuto a prendere parte alle assemblee del condominio e non deve sostenere spese. Egli è tenuto però a rispettare il regolamento e può usare le parti comuni dell'edificio condominiale. Il diritto di accesso agli atti è limitato alla consultazione, dopo l'iscrizione, del registro dell'anagrafe condominiale, degli atti di nomina e revoca dell'amministratore e dei documenti di spesa.

Giurisprudenza

Corte di Cassazione, Sez. I civile, sentenza n. 3331 del 19.02. 2016: "Il giudice può assegnare la casa familiare al genitore collocatario del figlio anche se il minore non ha mai abitato nell'immobile, purché i genitori prima del conflitto abbia­no destinato la casa ad abitazione familiare e vi abbiano stabilmente convissuto". Questa sentenza precisa che la casa familiare per il minore è quella in cui nasce e ritrova nel quotidiano il suo centro di affetti, interessi e abitudini. I genitori che vogliono quindi destinare un'immobile ad abitazione familiare, non possono limitarsi a conferirle questa qualifica in astratto, risultando necessario che tale finalità si concretizzi attraverso l'effettiva convivenza al suo interno.


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