di Valeria Zeppilli - Non considerare quanto confutato dal giudice dell'appello e proporre un ricorso in cassazione sulla base di motivi irrilevanti o generici può costare una condanna a 20mila euro per abuso del processo.
Tanto è toccato a un uomo che, in una causa concernente un contratto di locazione, aveva deciso di adire i giudici di legittimità nonostante la Corte d'appello avesse chiaramente confutato le sue argomentazioni.
Con la sentenza numero 19285/2016 (qui sotto allegata), la Corte di cassazione ha dato un grande peso agli argomenti dei motivi, tutti manifestamente infondati. Alcuni di essi, infatti, erano ripetitivi di quanto confutato dal giudice dell'appello, altri irrilevanti o generici, altri ancora non rapportati all'effettivo contenuto della sentenza impugnata.
Proprio tale inconsistenza, per i giudici, non può che essere sintomatica di un consapevole abuso del diritto all'impugnazione, esercitato con mala fede processuale. Proprio quest'ultima, sottolinea la Corte, funge da discrimen tra l'esercizio e l'abuso del diritto processuale.
La sentenza rappresenta un breve ma completo trattato sull'articolo 96 c.p.c., toccando tutti gli aspetti e i risvolti dell'istituto in esso contemplato.
Interessante è la precisazione sulla sua ratio, da considerarsi assolutamente pubblicistica, come conferma anche la natura della condanna che è sanzionatoria e non risarcitoria. Sostanzialmente si tratta di un presidio del processo dal suo abuso e di una tutela dell'adeguato funzionamento del sistema giurisdizionale e della ragionevole durata del processo.
Dato che nel caso di specie il ricorso era connotato da una "natura di eclatante eppur insistente infondatezza", la sanzione non può che essere pesante.
Corte di cassazione testo sentenza numero 19285/2016