di Lucia Izzo - Non può invocare la "particolare tenuità del fatto", il legale rappresentante del locale che disturba il sonno e la quiete dei vicini con musica sparata a tutto volume: la gravità dei fatti è accertata da testimonianze, rilievi ed esposti, nonché dal fatto che alcuni vicini si sono visti costretti a cambiare casa.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, terza sezione penale, sentenza n. 42063/2016 (qui sotto allegata) rigettando il ricorso di un uomo, titolare di un locale nell'hinterland milanese, colpevole della contravvenzione di cui all'art. 659, comma 1, cod. pen., per avere disturbato la quiete pubblica, il sonno e il riposo delle persone. Le emissioni sonore del locale, a mezzo anche di altoparlanti esterni, avevano, infatti, provocato inquinamento acustico con superamento dei limiti di cui al D.P.C.M. del 14/11/1997.
Secondo il ricorrente, tuttavia, la sua condotta avrebbe dovuto integrare l'illecito amministrativo di cui all'art. 10, comma 2, della legge 26/10/1995, n. 447, che scatta qualora si verifichi il superamento dei limiti di emissione del rumore fissati dalle leggi o dai provvedimenti amministrativi.
La Cassazione, evidenziata sul punto l'esistenza di contrasti in materia, sceglie di aderire all'indirizzo secondo cui è configurabile l'illecito amministrativo di cui all'art. 10, comma 2, della legge n. 447/1995 ove si verifichi soltanto il superamento dei limiti differenziali di rumore fissati dalle leggi e dai decreti presidenziali in materia, mentre la contravvenzione di cui al comma 1 dell'art. 659, cod. pen., si realizza ove il fatto costituivo dell'illecito sia rappresentato da qualcosa di diverso dal mero superamento dei limiti di rumore, per effetto di un esercizio del mestiere che ecceda le sue normali modalità o ne costituisca un uso smodato.
Il caso di specie rientrerebbe in questa seconda fattispecie, come emerge, non solo, da una fitta rete di testimonianze, ma anche dai rilevamenti compiuti dai tecnici dell'Arpa, dai numerosi esposti e dalla situazione intollerabile venutasi a creare, che aveva addirittura costretto acuni degli abitanti della zona a vendere la propria abitazione.
Inutile per l'uomo anche invocare il riconoscimento della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto prevista dall'art. 131-bis del codice penale. Per gli Ermellini, il giudice di merito ha escluso l'accesso alla norma in aderenza ai principi giurisprudenziali, in considerazione della significativa gravità dei fatti sotto il profilo della intensità del dolo e della gravità dell'offesa.
Il giudizio sulla tenuità, chiarisce il Collegio, richiede una valutazione complessiva e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo.
Ciò è, appunto, avvenuto nel caso di specie, dove il giudice di merito ha negato le circostanze attenuanti e ha applicato una pena molto vicina al massimo edittale, proprio in considerazione della non tenuità del fatto ascritto.
Cass., III sez. pen., sent. 42063/2016• Foto: 123rf.com